I divani made in Italy erano cuciti dai cinesi clandestini

Dietro la leggendaria convenienza dei mobili Chateau d'Ax c’è, secondo la Procura di Monza, un trucco inconfessabile: lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. A cucire i divani in pelle del colosso brianzolo sarebbero, accanto alle maestranze regolari, anche un numero imprecisato di immigrati senza nome e senza volto. Cinesi, soprattutto. Braccia da lavoro che non esistono né per lo Stato, né per la polizia, né per l'Inps ma che vengono ugualmente impiegati negli stabilimenti del gruppo. Con la piena consapevolezza, secondo l’accusa, dei vertici della società.
«Roba di uno o due mesi fa. Una faccenda inconsistente», dicono a Lentate sul Seveso, al quartier generale della Chateu d'Ax. In realtà sembra di capire che l'indagine gestita dalla Procura della Repubblica di Monza sia ancora in pieno corso. Nel registro degli indagati con l'accusa di favoreggiamento e sfruttamento dell'immigrazione clandestina sono finite cinque persone. In testa all'elenco, l’amministratore unico della Chateau d’Ax spa, Antonio Colombo, 62 anni: è l’uomo che siede alla testa di un impero presente in diciassette Paesi (America, Australia e Giappone compresi) con i suoi megashop all’insegna del Made in Italy più classico. Divani, letti, cucine con la firma di designer come Cini Boeri e Michele De Lucchi.
La Procura diretta da Antonio Pizzi è arrivata ad occuparsi di Chateu d’Ax sull’onda di una denuncia della Polizia provinciale. Nell’ambito di una serie di controlli sul rispetto delle norme ambientali nelle fabbriche del Milanese, gli uomini del generale Nazzareno Giovannelli hanno bussato anche alle porte di alcuni degli undici stabilimenti del gruppo di Lentate sul Seveso. Ed è in uno di questi che sarebbero stati sorpresi i clandestini cinesi. Tutti «in nero»: inevitabilmente, in quanto privi di permesso di soggiorno. A quel punto è scattata la denuncia in base all’articolo 12 della legge Bossi-Fini, che punisce chi agevola l’ingresso o la permanenza nel territorio nazionale di manodopera clandestina. Oltretutto le condizioni di lavoro in cui gli immigrati sono stati sorpresi sono apparse agli investigatori particolarmente pesanti. Tanto che gli inquirenti stanno verificando se applicare agli indagati anche l’aggravante che punisce i casi di «trattamento inumano e degradante».


«Senza entrare nel merito di una indagine ancora in corso - è il commento di Alberto Grancini, assessore provinciale alla Sicurezza - rilevo come questa attività sia il segno dell’attenzione che la Provincia di Milano dedica al rispetto di tutte le norme di legge sui luoghi di lavoro».

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