Cultura e Spettacoli

I divi fanno gli impegnati Ma l’America non ci crede

George Clooney e Sean Penn puntano sui temi sociali. I critici accusano: «Ma non raccontano i veri problemi»

Silvia Kramar

da New York

Hollywood si è sempre vantata di essere una fabbrica di idee sociali e politiche. Dietro alle commediole da teen-ager, ai musical fatti per l'entertainment delle masse e ai film girati solo per farne alberi da dollari, la Cinecittà californiana ha sempre avuto l’ambizione di essere anche un mondo creativo di pensatori, filosofi e politici. Non a caso le pellicole che nelle prossime settimane approderanno nelle sale cinematografiche con il chiasso di un’armata d’invasori saranno tutte ad alto contenuto di messaggi: politici, sociali, femministi. Se Million dollar baby aveva fatto incetta di Oscar lo scorso marzo grazie al coraggio con cui aveva affrontato il tema dell’eutanasia, quest’anno Hollywood si lancia alla scoperta di altri dilemmi sociali: le molestie sessuali sul lavoro, il mercato nero del petrolio e la corruzione politica.
Lo fa con quattro film farciti di grandi nomi e ancor più grandi star: Charlize Theron diventerà la nuova Erin Brockovich nel film North Country, la storia vera di una ragazza, figlia di un minatore, che voleva anche lei lavorare in miniera, ma che era stata accolta da un mondo maschilista che aveva fatto di tutto, compresa la violenza, per convincerla a licenziarsi, scatenando invece una causa di gruppo per molestie sessuali.
Col film Syriana, invece, George Clooney e Matt Damon arriveranno tra un mese sugli schermi americani per raccontare un thriller sulla Cia, il petrolio e il caos geo-politico del Medio Oriente. Sarà poi Sean Penn a interpretare un governatore corrotto e disonesto di nome Willie Stark nella nuova versione del classico Tutti gli uomini del re. Per ultimo c’è A history of violence nel quale Viggo Mortensen interpreta un tranquillo padre di famiglia, in un paesino qualunque, che improvvisamente dimostra di avere un passato nascosto quando un gruppo di criminali, spuntati dal nulla, sconvolge la comunità cittadina.
Con questi quattro kolossal il cinema americano spera di arginare una fuga dai botteghini che l’ha trascinato nei peggiori incassi dall’inizio degli anni Novanta. Ma i critici non sono convinti che Hollywood sia in grado di affrontare i dilemmi sociali e politici con un certo spessore: abituata ad essere politicamente corretta, a cercare di attirare il più vasto pubblico e a non toccare mai argomenti troppo scottanti, Hollywood rischia invece di fare dei film timidi, all’acqua di rose. L'America è in guerra, ha paura del terrorismo, vive ancora con le immagini di Katrina e teme l’arrivo del peggior virus influenzale dal 1909.
Ma Hollywood osa rispecchiare veramente, con i suoi nuovi film, questo Paese sotto stress? «Probabilmente no - scrive il critico del New York Times Caryn James -. I produttori e le grandi star vogliono essere presi seriamente e tutti sono consapevoli di aver fatto ultimamente molti film spazzatura. Vogliono essere visti come dei pensatori, ma hanno un dilemma. Devono rimanere mainstream, piacere a tutti e per farlo producono solo delle pellicole timide».
Una dei comuni denominatori di queste grandi pellicole autunnali è il fatto che affrontano problemi del passato: la donna coraggiosa delle miniere del nord è una storia avvenuta in un 1989 ben diverso dalle condizioni femminili del 2005. Il film di Sean Penn nel suo remake scritto da Steve Zaillian, l’autore di Schindler's list, rivisita un’America degli anni Cinquanta, un poco come l'altro grande film «pensante» del momento, Good night, good luck che George Clooney ha fatto uscire sugli schermi americani solo pochi giorni fa.
Eppure, con la sua storia polemica di Edward Murrow e il suo nuovo thriller sulla Cia, è proprio Clooney il protagonista di questo nuovo cinema pensante. «Hollywood preferisce affrontare il passato piuttosto che temi attuali - prosegue il New York Times - Perché non fare un film sul conteggio elettorale in Florida o sui casi giuridici di alcuni deputati?».
Si sa che temi sociali come l'Aids affrontato da Tom Hanks in Philadelphia, l'antisemitismo che aveva schiaffeggio Gregory Peck in Gentleman's agreement o le lotte ambientali di Julia Roberts in Erin Brockowich regalano Oscar. Sarà cosi anche quest'anno?
Il 23 dicembre arriverà forse il pezzo da novanta, che farà piazza pulita di questi film timidi: Munich ha portato Steven Spielberg ad affrontare non solo l'attentato delle lontane Olimpiadi ma anche il nuovo terrorismo.

Come al solito il grande mago di Hollywood vi ha mescolato ingredienti sapienti, preziosi, riflessioni profonde e immagini da Oscar.

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