da Roma
Galeotto fu il manifesto, non cè dubbio, ma la cosa più curiosa è che i dirigenti dei Ds non sembrano essersene ancora accorti. Sta di fatto che lultima campagna di comunicazione della Quercia con poster, volantini, e persino web spot (a Roma la fanno ogni anno per pubblicizzare una delle tre più importanti feste nazionali dellUnità), più che una prova di humour o sagacia, pare lautocertificazione involontaria della strutturale fragilità del nascente Partito Democratico.
Questa campagna sembra la prova (illustrata) del salto simbolico epocale che fa passare la sinistra italiana dalla poetica della passione politica a quella della frivolezza mondana: anzi, per dirla in una parola, dal partito al party, senza nemmeno la presenza confortante di un testimonial carismatico come George Clooney, o lausilio malizioso (ma efficacissimo) di un plastico deretano da donnina Campari. Certo, il divertissement che i pubblicitari diessini avevano in mente era proprio questo: scrivere Democratic party, per occhieggiare al gioco di parole in inglese, dove party vuol dire «festa», ma anche «partito». Eppure a pensarci bene, i veri errori di comunicazione sono proprio questi: passare dalle leggendarie salsiccie cotte alla piastra dai militanti stoici (che prendevano le ferie per lavorare gratis) al cocktail chic offerto in uno stand concesso in catering a una piccola azienda (che paga laffitto per fare profitti) rappresenta un salto epocale nella storia dei simboli del Pci, Pds, Ds, molto più devastante di una sconfitta elettorale.
Tantè vero che quando Fabio Mussi dopo la scissione ventilò lidea di ereditare il nome delle più note feste di partito italiane, lamministratore della Quercia, Giulio Sposetti, reagì quasi indignato: «La festa dellUnità è un nostro patrimonio politico ed economico, non la cederemo mai!». E nel dire questo aveva ragione, perché il partito aveva cambiato già tre simboli - triturando nella sua breve storia falci, martelli, querce e rose - ma mai aveva rinunciato a quel marchio (sempre immutato dal 1946 ad oggi) ed ereditato addirittura, dal modello delle feste de lHumanitè che gli antifascisti italiani avevano visto e visitato nella Francia dei Fronti popolari. La più importante festa de lUnità della storia della Prima repubblica fu organizzata proprio a Roma, nel 1948, per celebrare la guarigione di Palmiro Togliatti dopo lattentato (manifestazione oceanica e comizio) e a molti dirigenti del Pci morti destate (ad esempio a Giancarlo Pajetta, scomparso il 12 settembre 1990) capitò il paradosso di avere un funerale di partito celebrato tra gli stand, con esequie e commemorazione ufficiale del segretario in carica.
Per di più, a complicare le cose, oggi contribuisce anche limbarazzante cortocircuito con le intercettazioni che assillano la Quercia, su tutte quella dove «il compagno» (eh già!) Stefano Ricucci apostrofava il senatore Nicola Latorre per invitarlo (per lappunto a un «party») nella sua faraonica villa: «Vieni al party che ci sono tutti... mi piacerebbe averti martedì che facciamo questa festa a Santo Stefano, ho invitato tutti... Bellaveglia, tutti i cosi del Monte dei Paschi.... tutti ci sono.... il prefetto, il Questore, il presidente della Regione Martini.... Consorte... tutti».
E non certo per caso lestetica del party è diventato il bersaglio prediletto delle scorribande di Dagospia, che si diverte un mondo a immortalare i potenti davanti ai buffet, per quel fantastico repertorio di mostruosità relazionali che è il Cafonal. Un tempo tutti gli stand delle feste erano gestiti dalle sezioni, e lazzardo più sfrenato era la «gara del tappo» (perché persino il tiro a segno era bandito). Oggi i Ds gestiscono solo cucine e spazi di rappresentanza, il resto è fiera.
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