Laura Cesaretti
da Roma
È durata circa dodici ore lorgogliosa difesa dell«autonomia» dei Ds.
Poi ieri pomeriggio si è riunita la segreteria della Quercia e ne è uscita la «condivisione» e sottoscrizione della road map messa sul tavolo da Romano Prodi al vertice ulivista di martedì sera: entro fine anno lapprovazione del «manifesto dei valori» del futuro Partito democratico. Entro lestate i due contemporanei congressi di Ds e Margherita. Congressi, sostanzialmente, di scioglimento dei due partiti, che dovranno decidere di confluire nel nuovo soggetto ulivista.
E ieri sera, nellUfficio di presidenza ds che raccoglie tutte le anime del partito, è iniziato il confronto interno, che promette di essere lungo e sofferto. Come sofferta è stata ladesione della leadership ds al percorso a tappe forzate voluto da Prodi. I quadri del partito sono in subbuglio, il Correntone minaccia la scissione, un pezzo di maggioranza diessina si prepara a dar battaglia «da destra» nel nome del socialismo europeo: si profila, come prevede Peppino Caldarola, «un congresso con tre mozioni: una del sì di Fassino e DAlema, e due del no al Partito democratico di Prodi». Insomma una sorta di doloroso rivissuto, sia pure meno epocale, delle lacerazioni che seguirono la «svolta della Bolognina» di Occhetto, una nuova rinuncia al nome e alle radici del principale partito della sinistra italiana. Con in più il rischio che, perdendo pezzi per la strada, la Quercia si ritrovi indebolita al tavolo della trattativa con Prodi e la Margherita per il pacchetto di maggioranza nel nuovo partito. E che la leadership venga consegnata oggi a Prodi e domani - chissà - a Walter Veltroni, per fare il nome più spesso ripetuto.
Ma è anche unadesione obbligata, quella di Fassino e DAlema: ogni tentativo di rinvio o diluizione sarebbe apparso come una retromarcia, dopo tanti proclami di Fassino e DAlema sulla necessità di far nascere il Partito democratico. E soprattutto sarebbe apparsa come una ribellione al capo di un governo che (per il momento) va tenuto in piedi, visto che nessuna alternativa concreta è alle viste se non quella, alquanto terrorizzante per lUnione, di elezioni anticipate. Perché, anche se un dirigente vicino a Fassino assicura che «Prodi ormai è il passato, e il leader del nuovo soggetto non può che essere il leader del principale azionista», ossia il medesimo Fassino, è comunque il Professore che oggi, dal governo, dà le carte e detta lagenda. Lo ha spiegato anche DAlema a molti malpancisti ds, ieri: «Non potevamo che accettare quella road map: un rinvio sarebbe apparso come un segnale di debolezza dellUlivo e del governo, e in un momento difficile come questo, con la Finanziaria sotto tiro, nessuno potrebbe permetterselo». Già, perché martedì era rimbalzata la voce di un rinvio del seminario di Orvieto, per le resistenze interne dei partiti. E in casa ds sospettano che sia partita dal quartier generale di Prodi. Di certo, ha assicurato DAlema, «non sarò io a dare pretesti a chi insinua che potrei congiurare contro Prodi».
Dunque ai ds tocca fare buon viso a cattivo gioco, spiegando come fa il coordinatore della segreteria Migliavacca che il percorso di guerra di Prodi è totalmente «condiviso», e anzi al Botteghino sono «sconcertati ed irritati» per le ricostruzioni «totalmente infondate di alcuni giornali» (praticamente tutti, ndr) secondo le quali la Quercia si è dovuta piegare allaccelerazione impressa dal premier.
Ora a Fassino tocca cercare di limitare i danni. Ieri mattina si è rivolto ai dissidenti interni, invitandoli a non disertare il seminario di Orvieto («Il porto da cui salperà la nave del partito democratico», dice Migliavacca, sorvolando nellenfasi metaforica sulla mancanza di sbocchi al mare dellUmbria) e assicurando che «ogni decisione sulla trasformazione dellUlivo in Partito democratico non potrà che discendere da passaggi congressuali».
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