I fantasmi dei cowboy cavalcano ancora tra canyon e città morte

Al confine tra Arizona, Colorado e Utah sono stati girati film come «Ultima conquista», «Butch Cassidy» e «L’uomo dei sette capestri»

I fantasmi dei cowboy cavalcano ancora tra canyon e città morte

Roberta Pasero

da Grand Canyon (Arizona)

Alzando lo sguardo sembra ancora di vederli. Sembra che si stiano affacciando dall’alto del canyon, mimetizzati tra le rocce rosse a guardare laggiù dove la vallata selvaggia è attraversata dal Rio Grande e i cowboy cavalcano verso chissà quale frontiera. Cheyenne, Apache, Navajo, Hopi: se fosse un film in questo momento scenderebbero di corsa lungo la scarpata e li prenderebbero alle spalle. Oppure tenderebbero l’arco per lanciare dall’alto ancora un’ultima freccia senza timore di essere visti. Ma di loro oggi non rimangono che chilometri e chilometri di terra meticolosamente cintati perché l’uomo bianco non varchi i confini della loro nazione. Perché la guerra non ricominci e la storia riprenda dal punto in cui il cinema ha smesso di raccontarla.
È qui che Dio ha messo il West, come usano dire da queste parti. È qui che il cinema ha portato le macchine da presa senza bisogno di inventarsi nulla, nemmeno una scenografia. Si è spostato di Stato in Stato, di confine in confine, di emozione in emozione, in cerca di un canyon in cui ambientare storie di legge e di fuorilegge, da cui far arrivare gli indiani e dove far sparire, verso chissà dove, giustizieri o ricercati. Pieghe scavate nella terra dai nomi evocativi: Grand Canyon, Canyon de Chelly, Glen Canyon, Zion Canyon. Qui, tra Utah, Colorado e Arizona, non c’è un film da raccontare, ma interi capitoli della storia di Hollywood transitata in questi angoli di un mondo disegnato quasi per caso.
Un itinerario da percorrere con la memoria, fotogramma per fotogramma, in un gioco dei mille riconoscimenti. Da dove cominciare? Magari da Grafton City, la città fantasma che un tempo ospitava una comunità dei mormoni e poi fu abbandonata, a pochi chilometri dallo Zion Canyon scavato dalla forza dell'acqua del Virgin River e modellato dal vento: furono queste le location utilizzate nel 1969 per Butch Cassidy. E sembra ancora di vederli aggirarsi gli ultimi due leggendari fuorilegge del West, Butch (Paul Newman) e l'inseparabile Sundance Kid (Robert Redford) tra rapine ai treni dell'Union Pacific e la chiesa sconsacrata del paese trasformata in una scuola elementare per raccontare che il cuore di entrambi batteva per la bella maestrina del villaggio.
Poi il viaggio alle radici del western può proseguire verso il Glenn Canyon, verso il Rainbow Bridge, il ponte naturale più grande del mondo, e il profondissimo Antelope Canyon: qui dove le pareti rossicce si riflettono nell’azzurro del lago Powell e il Colorado River continua immutabile il suo percorso, sempre nel 1969 fu girato L’oro di MacKenna, la storia di un indiano che in punto di morte consegna una mappa per trovare un giacimento aurifero sulla montagna al diffidente sceriffo MacKenna, convinto che l’oro non ci sia, ma che poi comincerà una logorante caccia al tesoro.
E arrivare finalmente all'abisso del Grand Canyon, troppo impervio per portare le troupe, ma ben impresso nella memoria per le tante citazioni che i cowboy e i pistoleros del cinema facevano quando la sera davanti al fuoco inventavano il loro domani, sperando magari di incontrare Le ragazze di Harvey, le cameriere che servivano all’Harvey House dell'hotel El Tovar, come raccontato anche nel musical di George Sidney con Judy Garland e Angela Lansbury nel ruolo delle romantiche camerierine.
Ma il cinema si è spinto persino nel deserto di Sedona, la terra dei cacuts formato gigante, dove nella Cathedral Rock, una formazione rocciosa tutta pinnacoli che oggi attira i seguaci della New Age, convinti che queste pietre emanino energia positiva, si accampava il cowboy alla deriva Robert Mitchum per difendere i diritti di una cowgirl e dei contadini in Sangue sulla luna mentre sempre in queste terre con la cattedrale a far da sfondo e nel Bob Bradshaw's Ranch, tanto amato dai registi di Hollywood, aveva portato le macchine da presa John Wayne, per la prima volta nel doppio ruolo di protagonista e produttore di Ultima conquista, il film di James Edward Grant dove «il Duca», gangster ferito che trova ospitalità in una famiglia di quaccheri, scopre quali siano i veri valori della vita e per non mettere i suoi benefattori nei guai decide di andarsene per sempre.
A volte però non è facile distinguere tra vero e il finto West, tra i resti di un mondo arrivato fino a qui passando tra sparatorie, assalti alle diligenze, agguati e quello che Hollywood ha costruito, inventandosi un West verosimile ma assolutamente inesistente sulle carte geografie del passato. Come Old Tucson, 12 miglia a Ovest della città, costruita nel 1939 per un film epico, Arizona di Wesley Riggles con un giovanissimo William Holden, storia di una pioniera che vuole civilizzare questa parte dello Stato. Ultimate le riprese, invece di distruggere il set, Old Tucson fu conservata come scenografia per alcuni dei più celebri film di Hollywood mantenendo intatti la stazione del treno e i saloon, la sala delle feste e il barber shop, la missione cattolica e il corral.
Gli stessi luoghi che si possono vedere in El Dorado e Rio Lobo, I tre amigos! e L'uomo dai sette capestri, L'assedio di Fort Point e in molte altre pellicole di John Sturges, John Huston, Sam Peckinpah, Howard Hawks.

Qui dove lo sguardo punta ancora verso l’orizzonte e dove nel silenzio del deserto, tra le pieghe dei canyon, sibila il vento. E sopra la testa sembra di sentire le stesse pallottole che sparavano i pistoleri più veloci del West, almeno nei film.

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