Oltre 10mila specialisti della comunità gastroenterologica internazionale, giunti soprattutto dall'Est europeo, Asia e Medio Oriente, hanno partecipato a Vienna alla 16ª settimana dei Gastroenterologi Europei Riuniti (Uegw). Un appuntamento fra i più importanti in Europa per fare il punto sui più recenti avanzamenti della ricerca in gastroenterologia, epatologia, endoscopia e chirurgia gastrointestinale. Diversi i temi in programma: da quelli educazionali all'approccio diagnostico terapeutico dell'esofago di Barrett e delle lesioni precancerogene di tutto l'apparato digerente. Soprattutto molta comunicazione sulle malattie infiammatorie croniche intestinali. Tra queste la malattia di Crohn, patologia infiammatoria cronica che interessa di solito il tratto terminale dell'intestino tenue e crasso. Colpisce soprattutto giovani prima dei 40 anni, anche se l'età si sta abbassando. Qualche numero: circa 600 mila malati nel Nord America, oltre 500mila in Europa e circa 60mila in Italia. La diagnosi a volte non è semplice. «Spesso nella prima fase la malattia viene confusa con il colon irritabile», spiega Nicola Caporaso, presidente della Società italiana di gastroenterologia. «Esami di laboratorio, sintomi notturni e alcuni fattori come familiarità, fumo di sigaretta e l'età, aiutano a riconoscerla». Oggi le nuove terapie biologiche (anti Tnf-alfa che bloccano lattività di proteine infiammatorie, citochine) e la chirurgia conservativa, hanno rivoluzionato in modo significativo la gestione della malattia di Crohn.
«Abbiamo a disposizione alternative di farmaci estremamente potenti che oltre a far star bene il paziente cicatrizzano le lesioni», afferma Paolo Gionchetti, ricercatore universitario di medicina interna al Policlinico Sant'Orsola di Bologna. «Questi farmaci hanno il vantaggio di chiudere le fistole, gallerie che si formano (30 per cento dei pazienti gravi), tra l'intestino e le altre parti del corpo. Fondamentale, in questa situazione, anche un buon lavoro di team con il chirurgo». Conferme in merito arrivano dai risultati di uno studio denominato Charm (in fase terza, 854 pazienti trattati per due anni con il farmaco adalimub, farmaco biologico autosomministrabile per via cutanea) messo a punto dalla società statunitense Abbott e presentato al congresso di Vienna.
I dati hanno inoltre evidenziato una riduzione dellospedalizzazione del 48 per cento con grande riduzione dei costi per il servizio sanitario nazionale.
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