I finanziamenti di Mosca ai comunisti di Togliatti

Mi accadde nell’aprile del 1947 di accompagnare Palmiro Togliatti nell’Ufficio del presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, al palazzo del Viminale. Prima di intrattenermi con lui parlai civilmente con il conte Carlo Sforza che era stato ministro degli Esteri del governo Giolitti e sperava di fare lo stesso con De Gasperi. Egli si avvicinò a me nell’anticamera del presidente del Consiglio con il monocolo e la barbetta ben curata e mi disse severamente: «Lei chi è?». Replicai che ero il segretario dell’onorevole Togliatti. Mi soppesò con distacco aristocratico. Aggiunse: «Anch’io sono stato segretario di un ministro. Sa di chi?». Rimasi confuso per non conoscere un dettaglio così importante di storia patria. «Era colui che firmò il trattato di Algeciras», sillabò il conte. Assentii sollevato. Solo per un attimo. «E Visconti Venosta lo sa di chi fu segretario?» incalzò Sforza. «Fu segretario di Cavour». Provai una certa emozione nel sentire il conte Sforza parlarmi anche della figura di Giolitti, che i comunisti togliattiani italiani tenevano in grande e postuma ammirazione.
L’incontro di Togliatti con De Gasperi era stato sollecitato dopo l’incidente provocato da un suo fondo sull’Unità intitolato «Ma come sono cretini», riferito agli americani. De Gasperi aveva detto che si trattava di un articolo che feriva l’orgoglio degli Stati Uniti e Togliatti negò che l’Unione Sovietica stesse pagando dei contributi in moneta americana per i compagni comunisti italiani. Una fondata notizia al riguardo fu asserita dal segretario di Stato Usa Sumner Welles. Qualche tempo dopo, invece, Pietro Secchia vicesegretario del Pci la confermò.
Giulio Andreotti annota anche questo episodio nel suo libro intitolato «1953 - Fu legge truffa?» pubblicato oggi nel 2007 per i tipi della Rizzoli (pp. 277, 17 euro). Egli contribuì con i suoi incarichi in maniera incisiva ad un cammino di pace e di amicizia con gli Stati Uniti. Nel suo scritto, segue attraverso diari, telefonate, colloqui privati e fatti pubblici la storia di quell’anno con grande rigore e onestà intellettuale. Anche con molta passione, come nei ritratti di Nenni socialista, Di Vittorio comunista, Piccioni cattolico, soprattutto del futuro Papa Giovanni Battista Montini, del cattolico Giovanni Gronchi, a quell’epoca presidente della Camera e di Fanfani.

La sua è una prosa, secca ed essenziale e nello stesso tempo vivace e vissuta nel ripercorrere gli anni della Guerra fredda e il «mare mosso» della Dc, un partito dalle molte clientele che però ha sempre saputo mantenere inalterato il barometro della pace.

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