I finiani adesso vogliono trattare, Berlusconi no

Bocchino chiede e ottiene un incontro con il premier proponendogli dimissioni prima del voto, reincarico e maggioranza allargata all’Udc. Ma il primo ministro tiene duro: nessuna concessione ai finiani, si vada alla conta della fiducia in aula

I finiani adesso vogliono trattare, Berlusconi no

Roma - Rientrato a Roma da Arcore, Berlusconi non arretra di un millimetro sulla strategia concordata con l'alleato Bossi. Un piano che ha l'obiettivo di spingere Fini all'angolo, costringendolo a uscire allo scoperto e assumersi la responsabilità di sparare addosso al governo. Con l'effetto, forse, di fare addirittura cilecca. È il gioco del cerino nel quale il presidente della Camera rischia di bruciarsi. Ed è proprio per questo motivo che ieri, con la mediazione di Gianni Letta, il colonnello finiano Italo Bocchino ha chiesto e ottenuto un incontro con il premier. Calcoli alla mano, il leader del Fli comincia a temere sull'esito del voto del prossimo 14 dicembre. E se Berlusconi dovesse farcela? Bocchino avrebbe proposto al Cavaliere: dimissioni prima del voto, reincarico, maggioranza allargata all'Udc e traguardo della fine legislatura. Una carta che ha il sapore di exit strategy più per Fini che non per Berlusconi. Il premier, tuttavia, ha tenuto duro. Nessuna concessione ai finiani, nessun tentennamento: si vada alla conta in Aula, sul dopo si vedrà.

A palazzo Grazioli, dove ha avuto lunghi colloqui anche con il Guardasigilli Alfano, il ministro Brunetta e il coordinatore Verdini, il premier ha messo a punto e valutato tutti i dettagli di una linea che non subisce contraccolpi rispetto a quanto deciso nelle ultime settimane. Il Cavaliere ribadisce: «Vogliono aprire la crisi in modo irresponsabile e consegnare il Paese alla sinistra. C'è chi ha tradito gli elettori, le alleanze e ora è pronto a tradire se stesso, visto che aveva dato la fiducia al governo solo poco tempo fa». Da giorni, ripete che non cederà al pressing delle opposizioni. Stessa linea ribadita ieri a Bocchino. Per cui un «no» secco alle dimissioni prima del voto del 14 dicembre, neppure avendo la certezza di un reincarico; analogo «no» all'ipotesi di indicare un altro premier dopo la resa dei conti del 14 dicembre, restando il Cavaliere ministro di un nuovo esecutivo e quindi ancora protetto dallo scudo del legittimo impedimento. Un'indiscrezione, questa, subito smentita dal portavoce di Berlusconi: «Pura fantasia - la liquida Bonaiuti - La linea della maggioranza non cambia: o fiducia o voto anticipato».

Un passaggio obbligato, quello del 14, che ha lo scopo di far buttare giù le carte a tutti. Il portavoce del Pdl Capezzone taglia corto: «Fini e Casini sono prigionieri di una situazione di empasse da loro stessi provocata. Capiscono di essersi di fatto affiancati a Bersani e Di Pietro, e di avere con ciò commesso un drammatico errore politico». Nel muro contro muro la battaglia è tutta sui numeri. Nel Pdl si ostenta ottimismo perché si confida sulle assenze strategiche di qualche esponente delle opposizioni, terrorizzato dal rischio di andare a casa qualora si dovessero sciogliere le Camere e andare a elezioni anticipate.

Negli ambienti pidiellini si fa questo ragionamento: è probabile che il governo Berlusconi ce la faccia anche a Montecitorio, seppur per il rotto della cuffia. Da quel momento in poi si aprirà una nuova fase. Ingranando la marcia della maggiore attenzione al Mezzogiorno e del quoziente familiare, si spera che dopo Natale i centristi possano aggiungere nuova benzina al motore di un esecutivo rinnovato e riequilibrato. Con il traditore Fini fuori dai giochi e il responsabile Casini dentro. Il quale, tuttavia, ribadisce la linea del «Berlusconi lasci, non deve per forza fare il premier» e rilancia un governo di responsabilità. Ma l'asse Udc-Fli non è così saldo come vogliono far sembrare. In realtà, confidano alcuni pidiellini, nel medio-lungo termine il leader centrista potrebbe fare più strada nel recinto del centrodestra piuttosto che in quello di un terzo polo. Ambiente angusto, quest'ultimo, perché affollato di aspiranti leader. A ciò si aggiunga il Vaticano. Che potrebbe essere il grimaldello per rompere l'asse Fini-Casini.

Oltretevere, infatti, hanno già fatto sapere all'ex Dc che non se la sentirebbero di benedire un'alleanza con il presidente della Camera. Il quale, negli ultimi due anni, ha strizzato troppo l'occhio ai laicisti su temi sensibili come il fine vita, la fecondazione assistita e i diritti delle coppie omosessuali.

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