I fulmini di Veltroni su Bersani mandano in cortocircuito il Pd

Roma«Se queste sono le premesse, il giorno del congresso come minimo ci casca il soffitto in testa», prevede Silvio Sircana. «Forse la verità è che Dio sta con Berlusconi», constata Fabrizio Morri.
Di certo Dio, o chi per lui regola il meteo, non sembra stare né con Veltroni né con D’Alema, nello scontro congressuale del Pd: se mercoledì il fortunale abbattutosi su Roma aveva inzuppato le truppe di Pierluigi Bersani e interrotto la diretta tv del suo intervento, ieri ai supporter di Dario Franceschini riuniti all’ex cinema Capranica da Walter Veltroni è andata pure peggio. Aveva appena iniziato il suo intervento Sergio Chiamparino (ospite non schierato ma molto atteso) quando, in contemporanea con l’ingresso in sala di Piero Fassino, è scoppiato il fortunale con fulmini, saette e rombi di tuono. E l’impianto audio è saltato per aria. Chiamparino, il candidato mancato che ha lasciato molti e dolenti orfani nel Pd, ha tentato per un po’ di farsi sentire alzando la voce, ha chiesto scherzosamente un megafono, poi si è rassegnato. Manifestazione sospesa, tecnici freneticamente al lavoro, comprensibile ansia di Veltroni cui toccava il discorso di chiusura. Unica consolazione, il fatto che il maltempo ha colpito anche D’Alema, che ieri sera avrebbe dovuto parlare alla festa ex Unità di Roma ma ha dovuto rinviare causa pantano. Veltroni, spiegano i suoi, ha fatto «un passo indietro» dalla campagna congressuale (anche se Franceschini è lì ad ascoltarlo in prima fila), ma vuole comunque dare il suo contributo «sui contenuti». E per questo ha riunito un parterre che va dalla ormai mitica Debora Serracchiani (che Walter, che la ha promossa in ticket ombra con Franceschini, difende a spada tratta: «La attaccano perché non vogliono il nuovo») a Pietro Ichino che attacca «la vecchia sinistra che ha ingannato i giovani dicendo che la causa del precariato era la legge Biagi»; da Paolo Gentiloni che boccia l’idea che il Pd diventi «un partito di sinistra a vocazione minoritaria» secondo la ricetta bersaniana, all’ispirato David Sassoli che vola altissimo tra don Milani, il «Gattopardo» e la crisi mondiale vista dall’Europa, dove è stato testé spedito da Franceschini. L’ex ministro ombra Andrea Martella torna coi piedi sulla terra: «Il Pd non è morto, ma non sta neanche tanto bene», esordisce. Riecheggiando uno scambio di battute mattutino tra Bersani e Cuperlo sulla possibilità di usare l’inno polacco come inno del Pd: «Si apre con la strofa: “La Polonia non è ancora morta”». Il 26% delle europee, dice Martella, è giusto «la soglia minima per non scomparire», ed è inutile farsi illusioni: «Berlusconi non avrà sfondato, ma il centrodestra mostra tutta la sua solidità», mentre «noi non siamo riusciti a mantenere le promesse del Lingotto». Chiamparino è ancor più pessimista. Spiega che non starà «in nessuna delle due squadre in campo», perché questo congresso «non corrisponde alle necessità del Pd». Il problema è che «non abbiamo più l’orgoglio di essere dalla parte giusta per il paese».
Infine tocca a Veltroni che difende a spada tratta la sua idea di partito smantellata il giorno prima da Bersani.

Le primarie? «Uno strumento essenziale». La vocazione maggioritaria? «O c’è quella o non c’è il Pd», anche perché «tornare a governi di coalizione scelti dai segretari di partito significa imboccare una discesa senza fine verso l’inferno».

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