«I funerali? Saranno uno show» Jacko è già un mito da sfruttare

Jacko? Non è morto. Elvis the Pelvis? Vive e canta assieme a noi. Jimbo Morrison? Si è trasferito alle Seychelles. Macca McCartney è deceduto e al suo posto un sosia raccoglie la rendita. L’unico defunto sicuro, ammazzato a pistolettate, è John Winston Lennon. Degli altri, da Janis Joplin a Jimi Hendrix, da Robert Johnson a Brian Jones, a Kurt Cobain, resiste la leggenda, immortale questa e immortali loro, per l’appunto. Michael Jackson se ne è andato nel mistero degli ultimi atti della sua esistenza sghemba e colossale e nella certezza dell’Everest dei suoi debiti contabili. Eppure mai come adesso vive, si muove, si agita, scuote il popolo dei suoi fans che non smettono di piangere, di cantare e di soffrire, al punto massimo di uccidersi per lui, come è accaduto in un borgo di Tunisi, a una ragazza che non ha sopportato il dolore, si è rinchiusa in camera, ha ingoiato la dose ingiusta di barbiturici, così sperando e sognando di raggiungere, tra le nuvole, il suo idolo.
L’idolo aveva già deciso di salire in cielo, nel suo testamento sta scritto che il corpo di Jacko deve essere cremato e le ceneri sparse sulla luna. Qualcuno dovrà occuparsi del viaggio, qualcuno vorrà partecipare al rito spaziale. Prevedo che la lista degli astrojackson sulla navicella sarà numerosa, come una pandemia del cordoglio e della memoria. Chi è rimasto sulla terra sta pensando al funerale, domani, forse, probabilmente ma la data è un dettaglio, piuttosto la forma.
Kenny Ortega è stato l’ultimo dei coreografi di Jackson, lui stava allestendo lo spettacolo che avrebbe riportato il mito in scena e adesso? Adesso non sono previsti cambiamenti, Jacko è vivo, lo ripeto, dunque il funerale verrà trasformato in uno show, saranno le stesse le musiche, gli stessi il coro e i balli, gli onori, non funebri ma artistici, che si debbono a chi ha vissuto per la musica. Anche per altro, ma questo oggi non va detto, non va scritto. Michael Jackson entra nel casting dei morti viventi, come Presley, come Morrison, come gli altri che si muovono nel tulle di una leggenda comoda e affascinante ma, al tempo stesso, astuta e affarista. Jacko raggruma milioni di figure fino all’altro ieri sconosciute una all’altra, oggi sodali, fraterne, riunite, davanti a una candela e a un disco, virtualmente tutte a Los Angeles, in corteo, straziate per avere smarrito, improvvisamente, il loro amico fedele.
È la leggenda, dunque, un filo invisibile che lega gli artisti maledetti e non soltanto, siano pittori o musicisti, poeti e cantori, angeli romantici capaci di regalare il sogno e la fantasia, demoni perfidi pronti a colpirti al cuore a alle spalle, con una storia crudele, con una morte improvvisa, con una verità cattiva, imprevista, con quel viso finto di Jacko, di cera bianca, come certi artisti di strada immobili e malinconici, poi, di colpo, statue viventi con impercettibili mosse meccaniche. Occorre aprire l’ombrello per proteggersi dalla pioggia acida di chi pensa, dice e scrive che Jacko sia stato ucciso dai media, da chi lo ha massacrato per la storia della pedofilia ma, poi, ha trascurato l’assoluzione e lo ha appena perdonato con qualche sbrigativa riga di cronaca. Jacko, come gli altri personaggi di questo casting di immortali, è morto perché la vita gli aveva dato molto, quasi tutto e, lui non ha visto, non ha capito, non ha voluto forse intendere, dove stesse il limite di questa esistenza strana, abbagliante e lugubre assieme. È la leggenda di Morrison, di Hendrix, di Janis Joplin, di Brian Jones, di Cobain, per tutti loro, lo spettacolo si fermò a ventisette anni. È la cronaca attuale, calda di Michael Jackson che ricomincia a vivere, che risorge nei filmati della sua infanzia, nelle rivisitazioni di vecchie incisioni, dimenticate e ritrovate dagli esploratori di giornata, nei concerti improvvisati in una piazza inglese, in un giardino indiano, in un vicolo italiano, in un parco americano, dovunque sia possibile e bello ascoltare la musica, muovendosi come un manichino capirosso sui rami dell’albero. È un uccellino tropicale, a lui, ecco un’altra leggenda, secondo il coreografo Ortega, Jacko si era ispirato per i suoi balli, a quel piccolo essere colorato di rosso sul capo, fragile e tenace, che si muove indietro, a cerchio, ballando il moonwalk, come gli astronauti sulla luna dove si poseranno infine le ceneri di Michael Jackson.
È un ultimo leggero soffio, è un ultimo leggero passo mentre il libro delle fiabe e delle leggende aggiunge un’altra pagina misteriosa. Il giorno del funerale non ci saranno code ai botteghini, sarà libero l’ingresso per il più grande show di Jacko, verranno in tanti, a cantare, a ballare, a ricordare, stavolta la musica sarà accompagnata dalle lacrime, come la mattina dell’addio a Diana Spencer, celebrata dalla “candela nel vento” di Elton John, scritta per Marilyn Monroe, un’altra vita e un’altra morte leggendarie.

L’attesa non potrà avere una fine festosa, la voce, solo quella, di Michael Jackson prenderà a riempire lo spazio e i cuori, come sta accadendo, dovunque, da venerdì notte. L’uccellino muoverà lentamente all’indietro i suoi passi e poi volerà via. Definitivamente.

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