I Giochi di Steffi Santer finiscono contro un albero

Vigilia maledetta: la fondista s’è rotta una gamba a Davos

Maria Rosa Quario

Per un atleta di ogni livello, di ogni sport, farsi male è sempre un dramma. Al di là del dolore fisico, quello che fa più male è doversi fermare mentre gli altri vanno avanti, è dover fare da spettatori alle gare, è dover applaudire le imprese altrui. Da infortunati, ci si sente impotenti, inutili, e si vive col tragico dubbio: ce la farò a riprendere e a tornare come prima? Prima o poi, per cose gravi o meno gravi, questo dramma lo vivono tutti gli atleti, in particolare fra gli sciatori è difficile trovarne uno che nel suo palmarès, fra vittorie e sconfitte, non abbia anche operazioni chirurgiche, gessi, stop più o meno lunghi. Molti assicurano che il dolore tempra e rende più forti, ma questo si dice sempre dopo, quando si è tornati forti. A quelli che non ce la fanno, a tornare ma nemmeno a diventare forti, non si pensa mai, eppure è pieno il mondo di atleti rovinati da una caduta.
Spesso il colpo più duro da assorbire non è fisico ma psicologico e proprio questo ci sembra il caso di Stephanie Santer, la fondista azzurra inserita nell’elenco degli iscritti ai Giochi di Torino che ieri, durante la gara sprint di coppa del mondo a Davos, in Svizzera, è caduta, è scivolata fuori pista e, finendo contro un albero, si è fratturata il perone della gamba sinistra. Una frattura semplice, non scomposta, una frattura che potrà guarire in poco più di un mese, ma sufficiente a far svanire il suo sogno di partecipare all’olimpiade di Torino ormai prossima. Le sorelle Santer a vestire la maglia azzurra saranno così due, Nathalie e Saskia, e non tre e chissà se questa sarà una consolazione oppure un dramma nel dramma per la più giovane del trio, Stephanie appunto, l’unica che al biathlon aveva preferito il fondo.
Stephanie aveva solo 13 anni quando sua sorella Nathalie sfiorò l’impresa a Lillehammer, incantando tutti non solo con il suo settimo posto nella gara sprint, ma anche e soprattutto con la sua bellezza un po’ altera, quel suo incedere sulla neve con la carabina sulle spalle che la faceva sembrare una cacciatrice d’altri tempi. Incantò tutti, ma soprattutto il dio del biathlon, il norvegese Ole Einar Bjoerndalen, quattro medaglie d’oro a Salt Lake City e suo futuro sposo.
Stephanie ora ha 24 anni, e dopo una stagione discreta (un 30° posto come miglior risultato in coppa), finalmente era giunto il suo momento. Anche lei, come Nathalie, alla quinta olimpiade, e come Saskia, alla seconda, avrebbe vissuto in prima persona la grande emozione olimpica.
Ma la giovane Santer non è la sola azzurra che ha visto il sogno trasmutare in incubo proprio all’ultimo momento. Nelle prove della discesa di Cortina, settimana scorsa, si era infatti infortunata anche la ventunenne altoatesina Johanna Schnarf, qualificata per la combinata dello sci alpino dopo il decimo posto di St. Moritz in coppa del mondo. Cadendo ad oltre cento all’ora, Johanna si è rotta il legamento crociato del ginocchio sinistro e, effettuata l’operazione, ne avrà per circa sei mesi.


La sua uscita di scena ha fra l’altro reso ancora più amara la fine del sogno di un’altra atleta azzurra, Annalisa Ceresa, sana come un pesce per sua fortuna, ma esclusa dalla squadra femminile a favore della diciottenne Camilla Borsotti, una scelta che ha creato diverse polemiche, soprattutto da parte del Centro Sportivo Esercito, il gruppo sportivo della Ceresa, che in una lettera alla Fisi ha fatto notare come i risultati della Borsotti fossero nettamente inferiori a quelli della Ceresa e ha definito il dt Roda un «padre padrone che sbaglia a giocarsi la carta della giovane speranza all’olimpiade, dove l’esperienza conta molto di più».

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