MilanoAssemblee. Proclami. Dichiarazioni di guerra al governo. I pm e i giudici salgono sulle barricate e tracciano in coro una linea politica chiarissima. Anti-premier: «No alle intimidazioni del potere politico». La magistratura italiana è mobilitata, come un esercito per la guerra. Qualcuno propone uno sciopero, altri, a Milano, vogliono aprire i palazzi di giustizia ai cittadini, come case trasparenti, altri ancora non sanno che fare, ma vogliono fare qualcosa. Tutti ripetono però una sfilza di no: no alle riforme che il governo ha messo in cantiere, no alle accuse di Berlusconi, no alle aggressioni mediatiche alle toghe. Raimondo Mesiano è la vittima star, la maggioranza di centrodestra è il bersaglio obbligato del malumore che non vuol passare e della rabbia che sale dal corpo della corporazione togata, lopinione pubblica lobiettivo da conquistare.
Ma per un giorno il futuro non conta. I giudici affollano assemblee volanti di mezzora, dalle 12.30 alle 13, per misurare il proprio sconcerto, lindignazione, la voglia di reagire. E ascoltano compatti i loro leader. A Roma parla il segretario dellAssociazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini: «Basta con aggressioni e minacce. Un giudice intimidito è meno credibile e quindi meno indipendente». Un giudizio che soddisfa la pancia della magistratura ma è anche la premessa per attaccare la politica giudiziaria del governo: «Esprimiamo preoccupazione per una riforma solo annunciata che mira a ridurre indipendenza e autonomia della magistratura. Si vuole ricondurre i magistrati allinterno del controllo, invece vogliamo una riforma che consegni ai cittadini una giustizia efficiente».
Parole che echeggiano quelle pronunciate a Milano. Dove i big della magistratura italiana marciano compatti come la falange. Il presidente dellAnm Luca Palamara risponde colpo su colpo agli attacchi di Berlusconi: «I tribunali non sono sezioni di partito. La magistratura è una categoria responsabile e continuerà a darne prova. Ma certo non intende mancare di far sentire la propria voce, in una situazione come questa». Basta, dice in sostanza Palamara, Berlusconi deve smetterla di denigrarci, attaccando i «giudici comunisti di Milano». Nellaula magna del palazzo di giustizia la giostra degli interventi gira su se stessa: le repliche sprezzanti al premier, il rifiuto di sedere a un tavolo per condividere le riforme impostate dalla maggioranza, la mobilitazione per licona Raimondo Mesiano.
Fabio Roia, leader di Unicost, la corrente di maggioranza, è ancora più esplicito di Palamara: «Il presidente del Consiglio Berlusconi non può delegittimare la magistratura del suo Paese, perché questo è incompatibile con la cultura delluomo di Stato, con la cultura della persona che deve difendere le sue istituzioni». Poi, vira sul caso Mesiano: «Siamo nellepoca del dossieraggio. Il giudice Mesiano, che ha emesso una sentenza che non rispondeva alle aspettative di un uomo potente è stato oggetto di una forma di investigazione per screditare il giudice e il suo provvedimento». Ovvero, la sentenza sul Lodo Mondadori. «La pratica Mesiano forse è la più importante che noi abbiamo avuto».
Edmondo Bruti Liberati, procuratore aggiunto sotto la Madonnina ed ex presidente dellAnm, utilizza invece lo spartito dellironia: «Mi giunge notizia che fra le schede preparatorie della prossima edizione del dizionario Devoto-Oli della lingua italiana, ve nè una di questo tenore: toga rossa, magistrato, giudice o Pm, indipendente e imparziale».
Dove arriverà lAnm? «Non siamo in guerra con nessuno», afferma Palamara. Ma la guerra al premier va avanti. Ci saranno altre giornate di mobilitazione, altri appelli ai vertici istituzionali, forse perfino uno sciopero, anche se unastensione dal lavoro per motivi politici pare improponibile.
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