di A Benedetto Croce, che era liberale, proprio non andavano giù i «governi tecnici». Non per nulla è sua la più bella definizione che ne sia mai stata data. Siamo nel 1931: «Lideale - scrive Croce - che canta nellanima di tutti glimbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta dareopago, composto di onestuomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e labilità in qualche ramo dellattività umana, che non sia per altro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra lonestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quellideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tuttal più, qualche volta (...) ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, dinettitudine».
Fedele alle sue idee, Croce non entrerà nel primo governo tecnico della nostra storia, nato dopo il 25 luglio 1943 quando Pietro Badoglio deve assicurare la continuità dellesecutivo in una situazione di generale confusione. Esecutivo durato 8 mesi e 23 giorni, perché lItalia democratica che nasce ha bisogno come il pane dei partiti politici.
I tecnici tornano ai piani alti dellalta finanza e della grande industria fino al 6 aprile 1946. Tutti rappresentati dallamministratore delegato della Fiat Vittorio Valletta, davanti al ministero per la Costituente, in un celebre discorso sulle questioni economiche e la riorganizzazione del lavoro: «A Roma ci si dovrebbe decidere a lasciare problemi di questo genere più in mani tecniche che politiche. Solo elementi tecnici dovrebbero esaminare problemi come la ricostruzione generale che finora non ha avuto nessuna soluzione». Si apre il dibattito, De Gasperi fa i complimenti, ma si guarda bene dalladerire.
Passano gli anni. Nel 1980 il Paese sbanda, scosso dalle Brigate Rosse, i terremoti, i problemi economici che la Dc non sa fronteggiare, e i calci dellasino del Pci che vede tramontare il sogno del compromesso storico. Il 13 ottobre è il presidente del Pri Bruno Visentini (provenienza Olivetti, Iri, Fondazione Cini e Confindustria) a dare il via alle danze: «Il Paese - dichiara al Corriere della Sera - non è gestito, è immobile e sfasciato; bisogna togliere la sopraffazione dei partiti e delle correnti dallesecutivo. Serve un governo dei capaci, con e senza tessera». Visentini sta, tra laltro, cercando di frenare lascesa della nuova politica forte di Bettino Craxi. Lidea di conseguenza piace a Berlinguer, che detesta Craxi più di Almirante, e si è da poco invaghito di una nuova idea che chiama l«alternativa democratica». Il segretario del Pci risponde a Visentini evocando la necessità di un «governo formato da uomini capaci e onesti dei vari partiti e anche fuori di essi». Ma quali onesti? Secondo Visentini Berlinguer fa solo propaganda. E così insiste a sparare sul bersaglio grosso Craxi, appoggiato dalle bocche di fuoco di Confindustria e del gruppo editoriale LEspresso, finché i socialisti lo accusano di «manovre per far cadere il governo e per attrarre i comunisti con lipotesi di un loro inserimento a livello di tecnici».
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