Si chiama Ali Ahmad Sai'id Esber, ma è conosciuto come Adonis. È uno dei più importanti poeti e intellettuali del mondo arabo, ma è anche uno dei più letti in Europa. È nato in un villaggio siriano, nel 1930, da una famiglia di origine contadina, ma vive in un elegante quartiere di Parigi. Ha il cuore a Oriente e la mente a Occidente. Non è un autore di massa, ma è candidato al premio Nobel.
Ha scritto molti magnifici libri di poesia, e poi ha scatenato polemiche politiche per il suo feroce e implacabile pamphlet dal titolo Violenza e islam (Guanda, 2015) contro l'estremismo musulmano, la cui «barbarie supera ogni immaginazione». Un testo così feroce che stupisce, a poco tempo di distanza, come è successo durante l'incontro di ieri su «Poesia d'Oriente, poesia d'Occidente» qui a Tempo di libri (dove ha presentato la sua raccolta di versi uscita nel 2009 in Francia, La foresta dell'amore in noi, Guanda), sentirlo attaccare unilateralmente la politica europea e americana, quasi glissando sulle responsabilità dell'islamismo radicale, e condannare nello stesso modo, senza distinzione, il monoteismo cristiano (che pure ha smesso di grondare sangue da secoli, abbiamo fatto notare) e quello musulmano (che è ancora in pieno delirio stragista, come dimostra da anni ormai la cronaca quotidiana). Come se quel libro che faceva coincidere il mondo coranico e la violenza non lo riguardasse più, o molto poco. Preferendo parlare di poesia.
Adonis, qual è la differenza tra Occidente e Oriente in poesia?
«Per me nella poesia come nell'amore non esistono un Oriente e un Occidente. Non c'è e non ci sarà mai alcun conflitto tra un poeta come Dante e uno come Ibn Arabi. Bisogna abbattere questa contrapposizione tra Oriente e Occidente, che è un concetto militare ed economico, non poetico. L'importanza della creazione poetica, che pure è un punto di vista emarginato ormai nel mondo contemporaneo, sta tutta qui: che non produce contrapposizioni. La poesia è universale, non ha confini».
Ma specificità e differenze sì. Quali sono le differenze tra poesia europea e poesia del mondo arabo?
«Principalmente quelle legate alle diverse lingue, che hanno origini e strutture molto diverse. Poi, certo, la maniera di vedere il mondo. Ma non si tratta di differenze nazionali o etniche, ma di differenze estetiche. Che è facile trovare anche tra poeti della stessa lingua, naturalmente: il modo di guardare alle cose di Montale non è quello di Ungaretti, o di Luzi. Ma questa diversità di approccio è fondamentale da un punto di vista esistenziale. L'uniformità produce soltanto monotonia. La vera Bellezza è plurale, e così la vera Poesia».
Nelle sue poesie l'amore e il corpo femminile hanno un ruolo fondamentale.
«Non esiste la vita senza l'amore. Un mistico arabo dice che se un luogo, qualsiasi luogo, non si femminilizza, è un luogo che non ha senso. Nell'amore c'è un piccolo momento in cui si prova l'estasi. È la vita o la morte, quel momento? La poesia prova a rispondere a questa domanda».
Lei è siriano e vive a Parigi. E scrive come un funambolo in bilico tra arabo e francese. Si sente un poeta in esilio?
«No. Non geograficamente parlando. Se mi sento in esilio - e io mi sento in esilio, sempre - è perché in quanto essere umano io sono, fin dalla nascita, gettato nel mondo, in una dimensione altra. E perché tutto ciò che io cerco di vedere, di toccare, di descrivere, è sempre distinto da me. In questo senso non sono mai a casa, ma vivo sempre da un'altra parte».
Lei in più occasioni è stato molto duro con l'estremismo religioso del mondo arabo e con l'islamismo jihadista...
«No, non sono stato duro. Ho soltanto detto la verità. Ma tutto ciò che ho detto in questo senso costituisce nel mondo arabo, cioè in tutti i Paesi arabi in cui il potere politico coincide con quello religioso, una posizione da emarginare, da sopprimere. Fino a un certo punto, nella storia dei Paesi arabi, l'antica tradizione razionale ereditata dal mondo greco ha convissuto, separata, con l'aspetto religioso della società. Non esiste in tutta la storia araba un grande poeta che sia stato anche un credente, come invece è accaduto in Europa, ad esempio con Luzi o Claudel soltanto per fare due nomi del Novecento. Per secoli nel mondo arabo l'idea dell'altro, il confronto con l'altro, era qualcosa di necessario. I mistici arabi dicevano che l'altro sono io. Un uomo per essere completamente se stesso deve passare attraverso l'altro».
Poi che cosa è successo?
«Che il monoteismo religioso e l'assolutismo politico hanno cominciato ad avvicinarsi, fino a coincidere. È da lì che nascono tutti i problemi di oggi».
E qual è il grande problema di oggi?
«Da una parte il monoteismo islamico fondamentalista e dall'altra la politica dell'Europa e degli Stati Uniti che hanno soltanto abbattuto delle dittature militari per instaurare o favorire dittature teocratiche. Non è stato unicamente il terrorismo islamico a distruggere l'Iraq o Palmira. Anche la politica occidentale ha contribuito al disastro. Il fatto è che noi viviamo in un mondo in cui prevalgono le divisioni, le chiusure. Il monoteismo religioso è un momento di forte chiusura, ed è diventato pericoloso. Invece serve apertura, libertà».
E dove si trova la libertà?
«Io la trovo nella Poesia».
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