I Graviano sbugiardano il killer che accusa il Cav

Davanti ai magistrati di Firenze i fratelli si sfogano: "Ma quale accordo con Berlusconi, Spatuzza dice soltanto chiacchiere per uscire dal carcere". Da Lima al bacio di Andreotti: tutte le invenzioni dei pentiti

I Graviano sbugiardano il killer che accusa il Cav

nostro inviato a Palermo

«Spatuzza? Ma che dice! Sono solo chiacchiere le sue. È un imbianchino, è facile colorare, faceva il pittore. Ma che ne posso sapere io di quel che dice lui? Quello non si vuol fare la carcerazione e ha raccontato quattro chiacchiere. Va a guardare quello che ha subìto lui, non in carcere, anche a livello familiare, lui c’ha una ritorsione nei confronti di qualcuno. Qui si parla di corna (...). Può dire tutto quello che vuole, ma dobbiamo vedere cosa c’è dietro a quello che sta dicendo (...). Io non voglio parlare perché poi andiamo su fatti ridicoli. Non è che quel che dice lui è Vangelo!». E non è finita: «Questo Spatuzza può dire solo chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere! Ma con chi avrei fatto accordi? Non so di cosa parla, se fa discorsi di scuola, di frutta e di verdura. È inutile. È da 16 anni che mi tenete in queste condizioni. Soprusi e ricatti, sono quattro mesi che aspetto una visita perché ho il sospetto di un tumore e nessuno fa niente. Questo regime è disumano, razziale. Luce accesa giorno e notte, telecamere anche in bagno. Qui si passa peggio che a Guantanamo...».

«QUELLO C’HA LE CORNA»

Fa impressione lo sfogo di Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio, accusato dal pentito Gaspare Spatuzza di essere in strettissimi rapporti con Dell’Utri e Berlusconi e di aver eseguito, per loro conto, le stragi del ’93. Il boss che taluno ipotizza starebbe manovrando il pentito-imbianchino per vendicarsi delle promesse non mantenute del governo Berlusconi (sull’ammorbidimento del carcere duro), il 28 luglio scorso zittisce i magistrati di Firenze che lo prendono a verbale. Più che l’ispiratore della collaborazione di Spatuzza, Giuseppe Graviano dà l’idea di avercela a morte con il suo presunto pupillo. «Qualcuno non ha voluto, non so chi, che uscisse fuori la verità di quello che è successo. Sono disposto a fare confronti con chi dico io che per me sa la verità, come Sinacori, che su di me ha detto un sacco di bugie. Lui, ad esempio, sa qualcosa di più».

«NESSUN CONTATTO...»


E Spatuzza? chiedono i Pm. «Ma cosa ne sa lui. Ma voi come spessore mettete più potente Sinacori o Spatuzza? Per lei, può sapere qualcosa di più Biancori o Spatuzza? Mi dica lei». E il Pm: «Però Spatuzza era uomo suo, Graviano!». Il boss sbotta: «Un uomo mio! A fare il pittore!». E gli accordi per rendere meno duro il carcere duro? «Ma io vorrei sapere con chi ce li ho questi contatti, come faccio ad averli? È da sedici anni...» che sta in carcere. Allora Graviano, sa niente dei colletti bianchi? «Io non lo so – risponde il mafioso - poi stiamo a vedere se... qualcuno ha il desiderio di dirlo che lo sa, benissimo». Lui sa solo che dei pentiti bisogna fidarsi poco, visto che s’è preso un ergastolo per via d’Amelio per i racconti di un pentito, Scarantino, giudicato oggi completamente inaffidabile: «M’hanno pure mandato a Pianosa, sono stato messo pure in croce (...). Qua è peggio di ucciderla una persona (...). E i magistrati non lo sanno loro che era tutta una bufala?».

«MI HANNO MESSO IN CROCE»

Perché nessuno, si chiede il boss, indaga su questo? Nessun patto istituzionale, nessun accordo. Graviano non arretra: «Io so solo che dal carcere non uscirò più, anzi forse uscirò da morto. Faccia le indagini, e ci rivedremo fra uno o due anni, ci rivedremo con Spatuzza, poi con Sinacori, con tutti i pentiti e ne riparleremo tutti insieme». Più loquace, ma altrettanto categorico nelle smentite al pentito di Berlusconi, è il boss Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, interrogato il 28 luglio 2009. I Pm si mostrano interessati ad avere conferme sul suo presunto colloquio con Spatuzza nel carcere di Tolmezzo nel corso del quale, a detta di Spatuzza, Filippo Graviano propose di far sapere al fratello Giuseppe che «laddove non vi fossero stati miglioramenti (carcerari, ndr)» era il caso di far sapere a lui (Giuseppe Graviano, ndr) che forse sarebbe stato il caso di «iniziare a parlare con i magistrati». Il pm Nicolosi è diretto con la domanda: «Questa esternazione sua è un’invenzione di Spatuzza? Ce ne conferma una parte? Non ce ne conferma niente?».

GASPARE E LE FINTE VERITÀ

Filippo taglia subito corto: «Assolutamente no, dottore. Non fa parte del mio modo di vedere, di agire (...). E poi avrei dovuto comandarglielo io a Giuseppe?». Quindi aggiunge. «Non ci può essere stato un discorso del genere che non può esistere, a meno che lui non ha capito male» ma «non posso sperare che Spatuzza dica la verità». Filippo Graviano conferma che i colloqui in galera con il futuro pentito vertevano su un «futuro di legalità» a cui entrambi aspiravano. «Parlavamo solo di questi argomenti». E del resto? Del messaggio da mandare all’esterno per far capire, a chi doveva capire, che la mafia non era più disposta a tollerare lo sgarbo? Nulla. «Quei discorsi riguardavano una scelta di dissociazione da quella vita «corredata di scelte errate». A forza di sbattere contro un muro, i magistrati spostano l’attenzione sulla insolita permanenza sua, di Filippo, e del fratello a Milano.

MILANO E LE DOMANDE DEI PM

Filippo ribatte che lui era un imprenditore ma che «al Nord non sono riuscito mai a fare nulla di concreto perché non c’è stato il tempo, poiché venni arrestato». I Pm insistono ancora su Milano, girano intorno, alludono, ma lui pianta un paletto: «No, no Milano. Nel Nord-est, a Padova, ero interessato all’edilizia». Così virano su Spatuzza. Chiede il Pm: «Siete cresciuti insieme?». «No – risponde il boss – siamo cresciuti nella stessa borgata, non insieme. Una conoscenza remota». Dopo qualche scambio di battute sulla conversione religiosa del collaborante, i Pm tornano a sollecitare Filippo con ragionamenti complicati per tirare di nuovo in ballo i mandanti esterni e le promesse (di Berlusconi, ndr) non mantenute.

«MA GUARDA ’STI STRONZI»

«C’è stata una prospettiva di cambiamenti normativi che potessero consentirvi questi spiragli?». Il boss è ancora una volta categorico: «No. Eravamo, anzi, coscienti che per noi la porta è chiusa a vita. Almeno io sono cosciente». Il Pm rilancia: «Speravate in qualcosa?». Graviano stancamente ribadisce: «Assolutamente no». Passa qualche giorno e Filippo Graviano viene messo a confronto con il redento Spatuzza: nega di aver detto quel che il pentito gli attribuisce a proposito delle aspettative inevase del governo. I magistrati incassano, ma non si danno per vinti. Il 3 settembre 2009 riconvocano Filippo Graviano poiché sembrano intravedere spiragli su cui lavorare. Interpretano la smentita a Spatuzza come una mezza conferma. Ci girano intorno, dicono e non dicono, provano a convincere il boss a ragionare con loro. Il Pm si rifà a una frase stizzita di Filippo Graviano e la traduce così: «Sembra una frase di una persona un po’ incazzata, che più che avere aspettative, comincia a dire: “Ma guarda te ’sti stronzi!”. Perché tanto siamo, anche se questo discorso rimane trascritto, è bene usare le parole giuste per capire le cose. «Guarda te ’sti stronzi – ribadisce il pm Crini –, queste carogne, che in un certo senso, hanno prima fatto vagheggiare chi sa che cosa e poi siccome non è arrivato nulla...» che come dice Spatuzza «ora gli facciamo vedere noi». Graviano ascolta in silenzio dopodiché bisbiglia: «Ora posso rispondere?».

«IO NON DICO BUGIE»

Prego. «Una bugia io non ve l’ho mai detta. Il discorso di queste entità che avrebbero dovuto mantenere l’impegno con noi o con qualcun altro, a me non risultano. Io non ho mai avuto promesse da qualcuno e non c’è mai stato nessuno che ha promesso a me qualcosa per alleviare queste sofferenze».

Il giovane Graviano capisce l’antifona e sfida i Pm: «Certo, vi viene difficile credermi perché voi perseguite una strada e le parole di Spatuzza vi confortano più delle mie. Però magari fra dieci anni voi ricorderete di quello che io vi sto dicendo. Non ci può essere stato nessuno che abbia preso un impegno per me».

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