Vittorio Sgarbi
C ome si fanno le perizie di opere d'arte? Non chiedetelo a un critico come me, che ne ha fatte tante. Chiedetelo ai carabinieri, che hanno scambiata per buona, come opera di Leonardo, la Tavola Doria, esposta al Quirinale, ridicolizzando in pompa magna il presidente Napolitano, e ora, a conferma della mia denuncia di una vera e propria truffa di Stato, compiuta da ignoranti funzionari del Ministero, magistrati e carabinieri, esiliata in Casentino, al castello di Poppi (dagli Uffizi che non la vogliono) ed esposta con il nome del pittore più lontano da Leonardo, il minore Francesco Morandini, allievo del Vasari. E che dire del falso Goya, recuperato dai carabinieri di Ancona, in grande spolvero, e sconfessato dalla Soprintendenza?
Dopo i tanti fallimenti sui quadri, i carabinieri, surclassati dalla Guardia di Finanza, sono passati alle false perizie, dimenticando di aver pubblicato, nei loro bollettini, migliaia di quadri con penose e inverosimili attribuzioni. Fino al colmo di perseguire gli esperti, invece di consultarli. Questa volta, con ridicoli e indecorosi appostamenti e inseguimenti, alcuni incompetenti e vanitosi carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale, che fu un tempo guidato da Generali accortissimi come Pio Alferano e Roberto Conforti, sono stati costretti e utilizzati da una magistrata facinorosa e spaesata, Laura Condemi per scoprire con quale metodo io elaboravo perizie di opere immateriali, ovvero perizie di concetti. Avete presente l'orinatoio di Duchamp? ecco: qualcosa di simile. Lo si può trasportare su un autobus? Evidentemente sì. Questo dimostra che è falso.
E si può firmare una perizia di un'opera conosciuta, in piedi invece che seduti, in un albergo invece che a casa, con l'assistente in ginocchio, mentre voi rispondete al telefono? L'implacabile foto dei servizievoli carabinieri dimostra che voi state scrivendo cose non vere. Queste le conclusioni di una ridicola indagine che ha portato al sequestro, nel 2012, di più di ottanta opere di Gino De Dominicis, tutte perfette e autentiche, della grande collezione Luigi Koelliker, piena di capolavori, e numerose altre di storici mercanti e amici dell'autore, tutte di certa provenienza, per la denuncia di una erede mai conosciuta, governata da un avvocato senza scrupoli, ambizioso, e non chiamato, con sua rabbia e dispetto, ad autenticare invenzioni e creazioni (spesso immateriali: inutile spiegarlo a giudici, carabinieri e falsi esperti-quelli sì incompetenti), da me e da veri esperti, come Duccio Trombadori e Francesco Villari, conosciute e viste, in case e collezioni. Non trovando l'inesistente falsario, i poveri carabinieri hanno cercato il critico. E la giudice, che non ha mai visto un critico all'opera, trae scandalizzata le sue conclusioni: «L'operazione di expertise è avvenuta senza una visione diretta delle opere, ma al massimo attraverso una riproduzione fotografica delle medesime, in maniera del tutto inusuale, ovvero nella hall di un albergo, con la richiedente seduta in ginocchio (sic!) di fronte a Sgarbi Vittorio, il quale firma le schede delle opere (sapeste come sto scrivendo quest'articolo, pur logico, seduto sul cesso) che di volta in volta vengono estratte dal raccoglitore... In un frangente (ma no?), viene addirittura ripreso Sgarbi Vittorio che, mentre parla al telefono, continua a firmare, in modo superficiale, senza cura e attenzione, le schede delle opere di De Dominicis». Veramente incredibile! Deve essere un vizio: anche adesso sto scrivendo, in modo superficiale, mentre cago e tengo d'occhio il telefono, proprio senza cura e attenzione. Eppure l'articolo è buono, come altri scritti nelle stesse condizioni. Più cago, meglio scrivo, cara Condemi. Peccato che, nella sua presunzione, combinata con l'inesperienza, non abbia conosciuto De Dominicis che, ridendo del suo metodo di indagine, con sorriso beffardo, le avrebbe spiegato il suo procedimento creativo, attraverso le parole di Marcel Duchamp: «Io mi definisco anartista invece di artista, o meglio ancora, respiratore. La mia attività consiste, semplicemente, nel vivere». Povera, disorientata Condemi. E ancora: «Cara, io penso che le cose non esistano. Un bicchiere, un uomo, una gallina per esempio, non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, sono soltanto la verifica delle possibilità di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina. Perché le cose possano esistere bisognerebbe fossero eterne, immortali. Solo così cesserebbero di essere unicamente la verifica di certe possibilità e diverrebbero cose esistenti... Spero un giorno di prendere un bicchiere, riempirlo di vino e bere, e di portare a passeggio una gallina, ed essere veramente io a farlo».
Non ha nessuna probabilità di essere un buon magistrato chi, dimenticando lo schema di un normale trasloco, si stupisce dell'ovvio: «la presunta opera d'arte sostanzialmente incustodita e senza alcuna particolare cautela viene imbarcata nel vano bagagli di un autobus che da Macerata arriva a Roma». Per il giudice è un «ulteriore suggello dalla inverosimiglianza della autenticità dell'opera», insieme alle valutazioni della più spaesata (mai neanche sentito nominare de Dominicis) consulente della Procura, la stessa Isabella Quattrocchi smentita dai carabinieri del Ros sui dipinti di Modigliani. Cosa dire, allora, di chi sposti, sulla sua automobile, da una casa all'altra, un'opera di De Chirico? che è imprudente o che il dipinto è falso?
Non dovrebbe essere difficile capire, come per un'opera di Raffaello o di Morandi, che le fotografie e le schede da me firmate corrispondevano a opere, e nel caso di De Dominicis, a concetti di opere (mai da lui materialmente realizzate), da me conosciute, e spesso di collezionisti che inviavano le fotografie per farle schedare nell'Archivio. Talvolta avevano avute le opere o i disegni da Gino, quando viveva ancora ad Ancona, ed erano invenzioni allegre e ingenue. Nessuno mi ha mai forzato, o cercato di orientarmi, su una materia familiare e concettuale, e il mio giudizio era, come è, assolutamente indipendente. Nel mio archivio telefonico ci sono foto di opere non periziate perché io non ero convinto, e i proponenti rispettavano le mie riserve.
E dunque, onore ai carabinieri morti. E una piazza a Sutri per il grande brigadiere Mario Cerciello Rega, martire di bestie drogate; ma nondimeno sfiducia a muso duro ai carabinieri approssimativi e impreparati che abusano di intercettazioni e spionaggi di persone oneste.
Io che sono stato loro vicino, e l'ho dimostrato, e sono stato chiamato dal Generale Conforti per assistere il Nucleo tutela patrimonio culturale, vengo intercettato e accusato di fare «perizie false» di un autore concettuale, senza essere indagato, senza essere interrogato e senza potere spiegare un fatto elementare: che le perizie sono opinioni, e dipendono dalla conoscenza e dalla esperienza, che si scrivono dietro le fotografie di opere conosciute e non dietro i quadri, e che si possono fare in studi, in albergo, seduti o in piedi.
L'unica misura di tutela, per una persona offesa, quale io sono, è combatterli con la competenza che essi non hanno, e annunciare al Comandante Generale dei Carabinieri, Giovanni Nistri, un esposto alla Corte dei Conti per le inverosimili spese e l'uso improprio di danaro pubblico per indagini prive, innanzitutto, nel relativismo dell'arte contemporanea, del requisito fondamentale: che le «cose» che si tutelano dai falsi siano opere d'arte. Quando sono spesso semplici provocazioni. E chi deve (o può) stabilirlo, se non un critico? E se non in un perfetto relativismo, e in una assoluta libertà di opinione? Proprio per questo (e per non perdere tempo e denaro in inchieste inutili) il codice dei beni culturali prevede che non siano disciplinate come opere d'arte le cose «la cui esecuzione non risalga ad oltre 70 anni». Un oggetto del 1994 ha un valore solo per i mercanti d'arte contemporanea: chiunque può ritenersi artista, ma non può pretendere di esserlo perché qualcun altro, in uniforme o toga, lo presume, o lo stabilisce, fuori della legge. Valore di mercato e valore d'arte non necessariamente coincidono. I 70 anni sono un confine che indica il giudizio della storia, più forte dell'arbitrio di carabinieri ignoranti e presuntuosi, e di giudici ambiziosi. Fu il premio Nobel Eugenio Montale a indignarsi, con motivate ragioni, quando, nel 1972, performer prima che artista, Gino De Dominicis espose un mongoloide alla Biennale di Venezia. Un'opera d'arte? Provate a farne un falso.
Ci si deve quindi difendere da offese e non da accuse, da diffamazioni e non da dimostrazioni di falsità di opere, che nessuno ha mai falsificato. Non esiste e non può esistere un falsario di De Dominicis, che non era né un pittore né uno scultore. Non si può falsificare un pensiero, un concetto, una idea.
E, dopo la Corte dei conti, per i carabinieri, analogo esposto al CSM, contro Laura Condemi, per irregolarità, abusi, proroga delle indagini, indeterminatezza del reato, per me inconsapevole dei falsi, che non sono tali, e non esistono, come per tutte le opere concettuali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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