«Li ho sentiti al telefono poche ore fa. Volevo confortarli, ma loro mi hanno risposto con due sole parole “Comandi Ammiraglio”. Non era deferenza. Volevano confermarmi che sono soldati, hanno fatto il loro dovere e non hanno paura, perché hanno fiducia in noi e nel Paese. Alla fine, insomma sono stati loro a rassicurare me».
Così il contrammiraglio Pasquale Guerra, 53 anni, comandante della Forza da Sbarco, il dispositivo della Marina Militare di cui fa parte il Reggimento San Marco racconta in quest’intervista al Giornale l’ultima sua conversazione con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri di Marina in stato di fermo in India. «Sono soldati selezionatissimi, il meglio che abbiamo, sono due volte volontari perché oltre ad aver scelto la professione militare hanno scelto le forze anfibie superando una selezione durissima che lascia spazio in media a solo il 40% dei candidati. Sono espertissimi perché entrambi hanno partecipato a tutte le principali missioni all’estero».
Possono aver commesso errori?
«È veramente una possibilità estremamente remota. Situazioni di questo genere vengono provate e riprovate in fase di addestramento da oltre 20 anni. Nulla è lasciato al caso. Si studia il comportamento da tenere in caso di avvicinamento alla nave protetta di un barchino veloce. Si provano ripetutamente tutte le procedure, dalla chiamata via radio ai flash con i grossi riflettori Panerai. Quando si arriva all’“extrema ratio” prima si mostrano le armi, poi si sparano raffiche in aria e infine si spara in mare in maniera evidente».
Un errore potrebbe essere avvenuto in questa fase?
«Sparare al largo è facilissimo. La possibilità di un errore è molto, molto remota».
Leggendo il rapporto dei suoi marò che idea s’è fatto?
«Il rapporto è assolutamente lineare, congruente con l’attività svolta dai nuclei di protezione. Sparare quattro cinque colpi in aria e quattro cinque colpi in acqua a distanza di sicurezza è una banalità per militari esperti di quel livello».
In una situazione di presunto attacco di pirati chi decide l’uso delle armi?
«Il capo squadra in base di regole d’ingaggio riconosciute e approvate prima di partecipare a queste attività. Una di queste prevede colpi di avvertimento in acqua...».
Sulla base di quel rapporto dove si trovava la petroliera?
«Fin dal primo rapporto era inequivocabile che si trovava a circa trenta miglia dalla costa».
Chi può garantirlo?
«La compagnia ne ha sicuramente la certezza matematica perché segue con il Gps le proprie unità. Il nostro capo team che oltre a esser militare è anche marinaio non ha fatto altro che recuperare sui sistemi di bordo i dati sulla posizione».
Per le autorità indiane i suoi uomini sono sicuramente colpevoli...
«Fino a oggi non ho visto alcuna prova. Il punto di partenza è che i miei uomini si trovavano su un’unità mercantile battente bandiera italiana e quindi per loro vale esclusivamente la giurisdizione italiana. Poi se è stata fatta l’autopsia vorrei conoscerne i risultati. Hanno detto che sull’imbarcazione sono arrivati dei colpi. Se ne hanno recuperato qualcuno potrebbero fare delle perizie balistiche».
Come valuta la decisione di consegnare i nostri soldati agli indiani?
«Io non c’ero. Non mi è noto chi ha preso le decisioni, né quali siano state le valutazioni».
I suoi uomini sono demotivati o tutto procede per il meglio?
«Dire che tutto va per il meglio sarebbe un’esagerazione. Diciamo che procede con regolarità. Siamo pronti a svolgere gli incarichi che ci vengono assegnati».
Cosa le dicono i suoi soldati?
«Parliamo di amici e colleghi...ovviamente non stanno passando un momento bellissimo. Vogliono che tornino presto a casa. Vogliono sia dimostrata la verità dei fatti».
Cosa si aspetta dalla nostra diplomazia?
«Molta attenzione e molta determinazione».
Cos’ha detto a Massimiliano e Salvatore quando li ha salutati?
«Siate fiduciosi, la verità verrà galla».
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