Domani Francesco Moser, uno dei più grandi corridori italiani di tutti i tempi, taglia il traguardo dei 60 anni. Tutto è pronto a Gardolo, dove Francesco ha comprato quattordici ettari di cascine, terre, vigne, paesaggi e ne ha fatto il maso «Villa Warth»: qui festeggerà come si conviene la ricorrenza. Professionista dal 1973 al 1988, con 273 vittorie al suo attivo il trentino precede Beppe Saronni (193) e Mario Cipollini (189), risultando così il ciclista più prolifico nella storia del ciclismo italiano. A livello mondiale è preceduto solo dall'immenso Eddy Merckx (426) e da Rik Van Looy (379).
Una carriera costellata da tanti numeri importanti, domani un traguardo da ricordare
«E chi se ne dimentica
Ci sono tutti, li ho sulle spalle, nel cuore e nelle gambe, ma come sono solito ripetere l'importante è arrivare a festeggiarli, con leggerezza e serenità».
Per una grande ricorrenza è pronta anche una grande festa
«Sono attese 600/700 persone: prima si pedala tutti assieme sulle strade della Valle dell'Adige (da Gardolo a Rovereto e Gardolo di Mezzo, ndr) e poi tutti con le gambe sotto al tavolo. Ci saranno, tra gli altri, Matteo Marzotto, Paolo Barilla, il presidente della Federciclo Renato Di Rocco. Tra gli ex, saranno presenti Franco Bitossi, Gianni Motta, Felice Gimondi, Palmiro Masciarelli, Vittorio Adorni, Dino Zandegù, Glberto Simoni e Maurizio Fondriest».
Ma come, non c'è Beppe Saronni?
«L'ho invitato. È stato uno dei primi, ma non può venire, perché domani sarà al Giro di Svizzera per seguire da vicino l'ultima tappa (Cunego è in maglia gialla, e si gioca la corsa domani, ndr). Voi non ci crederete, ma a me spiace per davvero che non ci sia. Dopo tante battaglie, tanti duelli, tanta rivalità è bello ritrovarsi per un bel brindisi. Ogni tanto ci è capitato, ed è sempre piacevole».
Brindisi con vini di produzione Moser
«Non potrebbe essere altrimenti».
Una famiglia di ciclisti, che spera in Ignazio (figlio di Francesco) e Moreno (figlio di Diego).
«Tutto cominciò con mio fratello Aldo, nel '46: per scherzo. La bici era solo un modo per spostarsi la domenica con gli amici. Però il ciclismo è dentro il nostro sangue. Io ho iniziato tardi, a 18 anni, perché mamma Cecilia mi voleva a lavorare nei campi. Se sono diventato ciclista il merito è di Aldo e di Enzo, laltro fratello, che mi hanno letteralmente messo in bicicletta».
Un giorno di festa, di allegria, ma anche di ricordi.
«Ho preparato tutto, anche una mostra fotografica e di oggetti che ricordano la mia carriera di ciclista. Ho tutte le biciclette con le quali ho corso. Quella rossa, con la quale ho partecipato all'ultima corsa. Quella della Roubaix del '79, funziona a meraviglia, anche due giorni fa ci ho fatto un'ottantina di chilometri: ha ancora i cinghietti ai pedali». Questo il passato, Ignazio è il futuro?
«Speriamo. È bravo e soprattutto appassionato. Io non ho fatto nulla per metterlo in bicicletta: ha fatto tutto lui. Adesso sta preparando la maturità di Agraria. Quello che si sente di fare lo farà, io sono contento ugualmente. Deve solo crescere con calma, senza pressioni e ossessioni. Nei prossimi due anni sapremo se avrà le stimmate del corridore».
Per domani, per il grande giorno, c'è qualcosa che la preoccupa?
«Sì, il discorso. Dicono che qualcosa dovrò pur dire, io non so nemmeno da dove cominciare. Però penso di fare come ho sempre fatto: poche balle, si brinda!».
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