RomaMattia Celli, 25 anni, neolaureato in ingegneria meccanica, è stato dapprima il simbolo del giovane cervello che deve espatriare, in seguito a una lettera scritta a Repubblica da suo padre Pier Luigi, direttore generale della università Luiss Guido Carli di Roma, e a lui indirizzata. Poi, più di recente, il privilegiato che avrebbe trovato posto alla Ferrari grazie al suo cognome. «Ma io in Ferrari faccio lo stagista in seguito a un normale colloquio. E il mio cognome non centra nulla».
Ecco, come è finito alla Ferrari?
«Dopo essermi laureato a marzo, ad aprile sono stato preso a Maranello per un tirocinio di sei mesi. Prima avevo fatto uno stage non retribuito in un'altra azienda che, non chiamandosi Ferrari, non aveva interessato nessuno».
È pagato?
«Ricevo 700 euro di rimborso spese dalla regione Emilia-Romagna e i buoni pasto. Con quei soldi devo pagarmi la stanza in cui vivo e tutto il resto».
Il tirocinio finirà a ottobre. E dopo?
«Dopo lazienda potrebbe rinnovare il mio tirocinio, oppure propormi un contratto a progetto. Oppure dirmi ciao. Di certo gli articoli sui giornali non mi aiutano».
Perché?
«Ma perché esco fuori come il figlio di, e la mia professionalità finisce in secondo piano».
Però lei è un figlio di.
«Guardi, se avessi voluto approfittare del cognome di mio padre avrei preso una laurea in Economia. Invece mi sono laureato nel corso triennale con 110 e specializzato in due anni in un ateneo pubblico. Tutto molto lontano dalla carriera di mio padre. E ora faccio uno stage in Ferrari con tanti altri giovani di ogni provenienza e ceto sociale».
Però la Ferrari è la Ferrari
«La Ferrari fa un prodotto di eccellenza, ma il percorso professionale è esattamente identico a quello di qualsiasi altra azienda. Lavorare qui o nella Bulloneria Tal dei Tali è uguale».
Insomma, maledetta quella lettera di suo padre
«Quella lettera diceva cose giuste.
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