«I miei thriller sono in fondo a un bicchiere»

«I miei thriller sono in fondo a un bicchiere»

Bere è diventato per Matthew Scudder il modo più semplice per dimenticare se stesso e la propria tragedia. E il poliziotto ideato dallo scrittore americano Lawrence Block (classe 1938) nel 1981 con il romanzo Le colpe dei padri (disponibile attualmente nel catalogo Fanucci) è un uomo letteralmente devastato dal fatto di aver accidentalmente ucciso una bambina durante il conflitto a fuoco con una banda di gangster. Ha ricevuto persino un encomio, per la sua azione, ma mai nella vita potrà perdonarsi di aver ucciso un’innocente.
E proprio mentre Scudder ha da poco terminato la sua terapia presso gli Alcolisti Anonimi e trova il cadavere di un suo amico d’infanzia, Jack Ellery, prende l’avvio L’Ottavo Passo (Sellerio, pagg. 418, euro 14), romanzo che riporta ai lettori l’universo hard boiled creato dal grande narratore statunitense. Una storia che mutua il titolo da uno dei momenti fondamentali sulla via della disintossicazione dall’alcol: l’Ottavo Passo è quello in cui si devono elencare i nomi di tutte le persone alle quali si è fatto del male a causa della propria dipendenza dall’alcol. Mentre il Nono è quello in cui si deve chiedere pubblicamente scusa per i mali commessi in stato di ubriachezza.
Una storia dura che conferma l’attitudine «sociale» dei racconti di Lawrence Block, autore che è stato recentemente ospite d’onore, nonché membro della giuria cinematografica, della ventunesima edizione del «Noir in Festival» di Courmayeur. Ed è lui stesso a spiegare l’origine del suo controverso personaggio.
«Circa trent’anni fa - dice - un agente letterario mi consigliò di pensare a una serie di romanzi che avesse come protagonista un poliziotto di New York, di quelli duri e tenaci. Quando iniziai a misurarmi con questo progetto, mi resi conto che mi sentivo più a mio agio utilizzando una prospettiva che lo collocasse al di fuori del corpo di polizia. Così l’ho fatto diventare un ex poliziotto e, per comodità, l’ho collocato nella zona di New York dove vivevo in quel periodo. Quindi mi sono fatto da parte e ho lasciato che prendesse il largo».
Perché ha voluto caricare sulle spalle di Scudder una croce così pesante come quella dell’alcolismo?
«Non sono stato io a metterlo sulla strada dell’alcolismo. Bere troppo e per così tanti anni: questo l’ha fatto diventare un alcolista».
Ma lei crede nei metodi degli Alcolisti Anonimi?
«Credo che con Scudder stiano facendo un buon lavoro».
Che cosa spinge Matt ad andare avanti tutti i giorni nonostante abbia ucciso accidentalmente una bimba?
«Le stesse motivazioni che ci spingono ad andare avanti dopo che abbiamo fatto qualcosa che non avremmo mai voluto fare».
Che idea si è fatto del mondo che circonda il suo antieroe?
«Somiglia molto al mondo che incontriamo quando facciamo una passeggiata e ci guardiamo attorno».
Quanto è importante raccontare il passato di un eroe del genere attraverso un’indagine come quella contenuta in L’Ottavo Passo?
«Non sono così sicuro che sia importante. Anche se può sembrare appropriato. Negli anni ho imparato, quando scrivo, a seguire le mie intuizioni. In realtà anche quando non scrivo».
È vero che prima di inventare il suo ladro Bernie Rhodenbarr anche lei stava pensando seriamente di darsi al crimine e per questo ha provato a scassinare anche qualche porta?
«L’idea di fare lo scassinatore l’ho presa davvero in considerazione. Non per creare un personaggio, ma semplicemente per avere qualcosa da mangiare. Stavo attraversando un brutto periodo, mi era difficile immaginare una vita di sola scrittura e non mi sentivo adatto ad altre attività. Mi è venuto in mente che se avessi fatto irruzione in qualche casa per rubare non avrei dovuto renderne conto a nessuno. Poi, invece, mi sono risollevato scrivendo libri; si potrebbe dire che Bernie mi ha salvato da una vita da criminale».
Lei ha scritto anche libri sull’arte della scrittura. Perché?
«Ho scritto sei libri sull’arte della scrittura, tra gli altri Open Road, The Liar’s Bible e, all’inizio di quest’anno, The Liar’s Companion. Perché li ho scritti? Non lo so, credo di aver pensato che per tirare avanti fosse meglio scrivere libri che rubare nelle case degli altri».


Tre consigli brevi ma indispensabili per aspiranti scrittori di noir?
«Mi ci faccia pensare... Prima di tutto: scrivere per gratificare se stessi, senza sforzarsi di capire che cosa vuole leggere la gente. Secondo: non dubitare mai dell’intelligenza dei propri lettori. Terzo: lasciare spazio all’inatteso».

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