I milanesi in vacanza snobbano i bestseller e scelgono i classici

LIBRI Kierkegaard e Simenon nei bagagli. Lo chef Marchesi rileggerà il «Don Giovanni» e monsignor Manganini studierà lo spagnolo

«Un buon libro è un compagno che ci fa passare momenti felici». La semplicità del genio: e Giacomo Leopardi ricorda che non c’è otium più bello di quello letterario. Un libro è vacanza. Benché le previsioni sull’avvento di internet abbiano vaticinato che i primi, vecchi strumenti a farne le spese sarebbero stati proprio i libri, in realtà questi «oggetti», come li definiva Borges, mantengono intatto il fascino. I milanesi, che leggono assiduamente in tram e in metro, lo testimoniano, soprattutto ora che con l’estate è tempo di viaggi e in valigia un volume trova quieto il suo angolino.
Quando ci inoltriamo nel cosiddetto tempo superfluo nulla ci rincuora di più di quanto è necessario. Le pagine stampate. Quali? «Il mio preferito è Don Giovanni del filosofo Kierkegaard». Fin da ragazzo, se lo è «divorato» più volte Gualtiero Marchesi, la forchetta perfetta della tavola italiana, fedele al detto di Thomas Mann che un lettore non si riconosce da ciò che legge, ma da quello che ri-legge. Nessuno è più esteta di un cuoco ed è notizia fondata che la buona cucina e la bella scrittura siano gemelle omozigote. «Mi hanno regalato Spiriti bollenti, una raccolta di interviste a chef famosi, e la nuova edizione dell’Artusi. Quando vado in vacanza non leggo: preferibilmente scrivo. Riflessioni, un emozione momentanea, progetti per il futuro».
Nulla dies sine linea, suggeriva Plinio il Vecchio: non lasciare passare un giorno senza scrivere. E neppure un altro senza leggere. In special modo nell’ozio, dove il pensiero sa sempre perché è triste, ma spesso non riesce a capire dove possa essere felice. Tra le righe del nostro linguaggio. «Anche di altri - esordisce monsignor Luigi Manganini, arciprete del Duomo -. Sto studiando lo spagnolo, per cui nel mio bagaglio ci sarà sicuramente una grammatica ispanica. Un volume di storia della filosofia, magari i presocratici, e un titolo del mio teologo preferito: Dietrich Bonhoeffer. Per finire, un tomo di matematica o di fisica quantistica. A parte i classici, come I Promessi Sposi, non scelgo romanzi, perché tutti i giorni sono a contatto con storie umane così complesse da sembrare irreali».
Anche Alessandra Kustermann, primario di Ginecologia alla clinica Mangiagalli, esplora ogni giorno la celata irrazionalità della natura delle signore, eppure quando parte vuole la loro scrittura, perché spinge verso il sogno, basti ascoltare Emily Dickinson: «Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane». Scrittore preferito della ginecologa milanese è George Simenon. «Un suo titolo è la costante della mia valigia. Ma nessuna storia del commissario Maigret - specifica -. Poi donne e donne: nel loro suono riconosco il mio. Ora sono su due narratrici: Irène Némirowsky e Amélie Nothomb. Firme di nicchia, perché rifuggo dai bestellers non credendo nel loro valore». Ovvero, mai scordare che se nell’Eden le bestie parlavano, oggi scrivono. Quindi nulla è meglio di un buon classico, perché il pletorico mercato del volume potrà far bene all’editoria ma non alla scrittura.
Annotava Emilio Salgari che un racconto è il modo migliore di viaggiare senza l’ingombro di un bagaglio. Sante Gaiardoni, ex olimpico della bicicletta, impegnato nella realizzazione di una pista al Forum d’Assago, si affida al trinomio: lettura, corsa e leggerezza.

«Una volta mi arrampicavo su righe impegnate, ora che sono vecchio voglio argomenti briosi. Leggo Carlo Delfino sul ciclismo eroico e Tania Croce. Mi piace «pedalare» nelle biografie degli sportivi valorosi, sentire il peso dei loro sacrifici per arrivare al traguardo».

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