I miliardari del regime con il tesoro in Spagna

Arricchitisi con la corruzione nell'era Chávez, ora investono centinaia di milioni in lusso e aziende

I miliardari del regime con il tesoro in Spagna

Caracas È un traffico opulento, tra nuovo e vecchio continente, di ricchezze esagerate e menti affinate alla speculazione più redditizia. Lo dirigono i rampolli delle ricche famiglie venezuelane ingrassate in vent'anni di chavismo, l'età dell'oro da cui i potenti, anche nell'attuale crisi politica, economica e sociale del Venezuela, hanno tratto enormi vantaggi finanziari, grazie all'instancabile lavoro dei padri corrotti. Muovono i denari di famiglia da Caracas alla Spagna, si presentano come brillanti imprenditori con tanto di laurea e master conseguiti a Yale. Accolti, prima, come bizzarri rifugiati politici, ora si sono rivelati abili affaristi. Senza scrupoli. Peggio dei loro genitori. Sono i bolichicos, nomignolo traducibile come i nuovi yuppy latinoamericani.

Dopo le avventure milionarie a Miami, infastiditi dalla presenza della Fbi, i figli dei Rojas, i Villalobos e i Ramirez (alcune delle potenti famiglie chavistas nei settori politici, militari e finanziari), hanno capito che era meglio raggiungere la terra dei loro avi, la Spagna, che ha leggi meno restrittive. I bolichicos sono cresciuti nella fallita revolucíon bolivariana di re Hugo, come progenie fortunata hanno capito il meccanismo per avere l'impunità, sotto l'ala rapace del regime. E ora che questa nuova generazione di potenti ha ereditato le fortune di famiglia, causa arresti e morti, da qualche anno le indirizzano nel ventre sicuro delle banche spagnole, investendo in immobili lussuosi con un flusso di centinaia di milioni di dollari.

I discendenti di quei conquistadores, che cinquecento anni fa solcarono l'Atlantico, stanno sbarcando in silenzio e in modo costante a Madrid. Attratti da oculati e poco spericolati investimenti in appartamenti super lusso e proprietà terriere, hanno attirato l'attenzione del País che ha frugato nelle loro tasche. In vent'anni di chavismo si è consolidato in Venezuela uno dei maggiori sistemi al mondo di corruzione. Negli anni d'oro del bidone di greggio, battuto oltre i cento dollari a Wall Street, è cresciuta la potente industria governativa venezuelana del petrolio (Pdvsa): centinaia di miliardi di dollari di fatturato, un settore d'infinita corruzione, in cui caste di politici e funzionari di re Hugo hanno attinto per due decenni, sottraendo risorse a un Paese che, pur sedendo sul più esteso giacimento di petrolio dell'emisfero boreale, ora deve razionare la gasolina.

La nuova generazione di imprenditori ha fortificato il ponte con Madrid, ora che Caracas è allo sfascio, creando immobiliari, banche, assicurazioni, società di trading e import-export. Rampolli che in Spagna hanno scoperto che gusto ha godersi la vita, tra club esclusivi e ristoranti stellati, senza dovere essere scortati da guardie armate. Liberi di stringere nuovi affari, hanno appreso dai loro genitori come trarre vantaggi dai lavori pubblici da trasformare in bancomat impazziti.

El País scrive che una dozzina di buone famiglie chavistas hanno introdotto mezzo miliardo di dollari in Spagna. La metà è stata destinata agli investimenti immobiliari: appartamenti extra lusso e haciendas, proprietà terriere con ville coloniali. In Costa Brava, regina del turismo, hanno acquistato resort con campi da golf e discoteche, come fece la camorra negli anni Novanta. Perché la Spagna, oltre a essere il giardino della malavita organizzata italiana (e albanese e ucraina), è ora il buen retiro degli amici di Chávez. Come nella vicina Andorra, paradiso fiscale che custodisce due miliardi giunti da Caracas. Il procuratore generale caraqueño Tarek William Saab ha calcolato che vent'anni di chavismo hanno sottratto al Paese quindici miliardi di dollari di soldi pubblici. Carlos Luis Aguilera Rojas, ex capo dell'intelligence di Chávez ed ex soldato nel golpe fallito del 1992, ha tracciato per primo la via spagnola. Possiede una liquidità in banca di due miliardi di dollari e ne ha altri tre ad Andorra. Quando ancora Chávez era in vita, già investiva decine di milioni nell'immobiliare spagnola Clab-Real Estate Consultancy Sl.

Nervis Villalobos, ex viceministro dell'Energia e Luis Carlos de León, ex direttore finanziario di Electricidad de Caracas, dopo l'arresto in Usa per corruzione e riciclaggio, hanno delegato ai figli le poltrone. Anche i figli di Rafael Ramirez, ex ambasciatore venezuelano all'Onu, e Javier Alvarado Ochoa, presidente della Electricidad de Caracas, si godono un piccolo impero di immobili e aziende registrati alle Bahamas. Villalobos e De León, con i giudici sempre sul collo, grazie a prestanomi garantiscono ai figli di godersi un giro d'affari di trenta milioni di dollari.

Questi rampolli denunciano di essere scappati dalla miseria del Cono Sur, ma vivono tutti in case da venticinquemila euro al metro quadrato. Rafael Reiter Muñoz, ex capo della sicurezza della Pdvsa, oggi ospite delle galere americane, possiede una delle urbanizzazioni più lussuose della Catalogna.

Roberto Bravo, che ama le Lamborghini e le donne dell'est, è figlio di Roberto Rincón, che pagava le tangenti per Chávez. Ha investito più di tutti: sessanta milioni con la Tradequip España Inspección y Logística Sl. La villa a Pozuelo de Alarcón, la Beverly Hills madrilena, Cristiano Ronaldo se la sogna.

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