Medicina

I misteri del cuore rivelati dai geni

Un giorno non lontano si effettuerà l'esame del DNA fin dalla nascita per conoscere la predisposizione del nostro fisico alle malattie cardiovascolari. Sapremo in tal modo le probabilità di avere un infarto, un ictus, di soffrire di angina, di assistere alla chiusura delle nostre coronarie. Una grande rivoluzione si sta attuando. Per ora è ancora silenziosa, ma se ne discute sempre più nei santuari della ricerca, nelle ristrette riunioni accademiche, nelle grandi assise dove si ritrovano annualmente gli specialisti. Dal 13 al 16 dicembre al congresso della Società italiana di cardiologia tenutosi a Roma, si è affrontata l'azione dei fattori genetici sulle malattie cardiovascolari. Il rischio globale del paziente cardiopatico, come ricorda Giuseppe Mancia, direttore del Centro universitario di fisiologia clinica ed ipertensione, uno dei cardiologi italiani più apprezzati all’estero, è determinato dalla presenza di più fattori (pressione arteriosa, familiarità, obesità, diabete, fumo, colesterolo, sedentarietà) che moltiplicano le probabilità di andare incontro ad un evento cardiovascolare grave. Sono 150mila ogni anno gli infarti miocardici e le sindromi coronariche acute. In Italia, come in tutti i Paesi occidentali le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte. Sono ipertesi 12 milioni di italiani: soffrono di questa patologia il 75% delle donne ed il 66% degli uomini con più di 75 anni. L'ipertensione provoca annualmente in Italia 242mila vittime e 17 milioni nel mondo. Negli ultimi venti anni la mortalità in fase acuta anche per infarti molto estesi (73mila decessi all'anno in Italia) si è ridotta passando dal 20 al 5 per cento. Grandi sono state le conquiste.
«Le innovative indagini diagnostiche, le nuove armi farmacologiche, le più recenti metodiche chirurgiche, hanno inciso profondamente sulla qualità di vita e sugli indici di sopravvivenza. Ma sarà grazie alla genomica, alle conoscenze che ci fornirà il DNA, che la medicina potrà compiere un grande balzo in avanti», sostiene Stefano Carugo, 43 anni, primario cardiologo a Milano all'Istituto Pio Albergo Trivulzio. «Proprio nei giorni scorsi - precisa Carugo - l'autorevole New England Journal of Medicine ha pubblicato due ricerche condotte su pazienti infartuati con deficit genetico. La terapia con aspirina e Clopidogrel, non impediva la ristenosi. Un domani con l'esame del Dna conosceremo le reazioni dell'organismo e la sua risposta alle terapie. L'esame del Dna si diffonderà come le analisi del sangue e ci indicherà la strada migliore per contrastare l'eccesso di colesterolo o dei trigliceridi. La vera prevenzione si baserà quindi non solo sulla riduzione dei fattori di rischio, ma soprattutto sull'analisi della predisposizione alle malattie e sulla risposta di ogni paziente alle cure».
All'Istituto Trivulzio è stata condotta una ricerca sui grandi anziani dal team di Carugo proprio per verificare le cause della longevità di alcuni pazienti fino oltre i cento anni con un basso profilo di rischio cardiovascolare, mentre altri sono vittime di fatti ischemici cardio e cerebrovascolari. La chiave di risposta sta nel nostro patrimonio genetico, infatti lo studio dimostra che i fattori di rischio cardiovascolari sono variabili indipendenti dopo i novant’anni.I risultati di questa ricerca che considera la funzione determinante dei geni sono stati presentati al Congresso della Società Italiana di cardiologia. Tra i primi studiosi dei fattori genetici predittivi, già all'inizio degli anni Ottanta, vi è l'americano Eugene Braunwald, padre storico della cardiologia. In Italia le sue ricerche sono state sviluppate dal professor Attilio Maseri, già cardiologo della Regina d'Inghilterra e del Santo Padre. Per decenni Maseri ha cercato di dare una risposta scientifica ai numerosi pazienti che, con tutti i fattori di rischio, non hanno mai sofferto di alcuna malattia cardiaca mentre altri muoiono di infarto a 40 anni pur essendo privi di elementi usuranti. Il paradosso: Winston Churchill era obeso, stressato,fumava, non parco nell'alimentazione, ma visse più di 90 anni.
«Lo studio del Dna e la comprensione del codice genetico - precisa ancora il professor Carugo - spiegherà molti misteri del cuore. Comprenderemo le ragioni per cui elevate LdL, l'iperomocisteinemia e alcuni tipi di cardiomiopatie portano inesorabilmente a sviluppare danni cardiovascolari. L'ipertensione stessa che finora nel 90% dei casi è definita come «essenziale» probabilmente troverà una risposta nelle sue cause. In ogni Paese queste ricerche consentiranno di sviluppare una prevenzione di grande importanza destinata a salvare migliaia di vite ed anche a rendere sostenibili i costi sanitari che rischiano di esplodere con l'aumentare dei cardiopatici anziani.

Dobbiamo quindi sviluppare e favorire la ricerca in tal senso nonché arrivare un giorno, il più vicino possibile, non solo a determinare alla nascita il gruppo sanguigno (Rh), ma anche il profilo di rischio genetico cardiovascolare».

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