C'è un mistero scritto nelle acque limpide dei Caraibi. È quello degli 8 passeggeri italiani a bordo del Let-410 della compagnia Transaven, decollato dall'aeroporto Maiquetia di Caracas alle 9.15 ora locale del 4 gennaio 2008 alla volta di Los Roques e letteralmente scomparso dopo mezz'ora, a 26 miglia nautiche (40 km) dalla destinazione finale. Secondo la versione «ufficiale» l'aereo si sarebbe inabissato dopo lo spegnimento dei due motori, ma a oggi non si è trovato nemmeno un rottame dell'aereo. Qualche giorno dopo a centinaia di km di distanza dal punto del possibile impatto è stato ritrovato un corpo, che potrebbe essere quello del copilota. Fine.
E gli altri passeggeri? Dove sono Paolo Durante, la moglie Bruna Guerrieri e le due figlie Sofia ed Emma di 6 e 8 anni. Con loro c'erano Stefano Frangiorne, la moglie Fabiola Napoli, e ancora Rita Calanni e Annalisa Montanari? Sono stati inghiottiti dal mare, come dicono le autorità venezuelane? E se fossero stati rapiti da narcotrafficanti che volevano impossessarsi dell'aereo, come è già successo nel '97, nel '99 e nel 2001? La chiave per capire i misteri di Los Roques è in un dossier di cui il Giornale è entrato in possesso.
Il dossier. È un documento di una dozzina di pagine, scritto dai consulenti dei familiari degli scomparsi. Rispetto alla versione ufficiale ci sono «altre» verità che presto verranno girate anche all'attenzione della Farnesina, che da un anno gioca la sua delicata partita diplomatica con il Venezuela, a cui spetta la titolarità delle ricerche. «Noi vogliamo le prove di una verità - dice al Giornale uno dei familiari - non ci interessa quale sia».
Il pilota. Nonostante la sua esperienza Esteban Lahoud Bessil Acosta ha commesso un sacco di errori. L'allarme è stato lanciato sulle frequenze normali (non d'emergenza) quando i due motori si sono spenti. Ma è impossibile si siano disattivati entrambi contemporaneamente. Seppur per un breve periodo il pilota ha dunque viaggiato con un motore solo, senza avvisare la torre di controllo. E ancora: nel suo ultimo messaggio riferisce di essere a 3mila piedi d'altezza (circa mille metri). Ma prima dell'eventuale impatto con l'acqua ci sarebbero voluti diversi minuti. Eppure non è più arrivata alcuna comunicazione nonostante il pilota sapesse che quella zona non era coperta dai radar, e dunque la sua unica speranza era il contatto radio con la torre di controllo di Los Roques. Dettaglio non trascurabile, il pilota era anche «pieno di debiti». E il copilota che doveva assisterlo per questo volo è cambiato all'ultimo minuto. Ed è l'unica vittima. Forse.
Corpo senza nome. Il riconoscimento è stato fatto da un cugino del copilota, anche se il volto era sfigurato, e non è stato fatto l'esame del Dna. Il cadavere è stato ritrovato dopo 10 giorni su una spiaggia a circa 370 km dal punto di presunto impatto, completamente nudo (eccetto gli slip) e con il giubbotto di salvataggio a circa 400 metri di distanza. nonostante l'impatto con l'acqua il suo orologio in acciaio è intatto, e senza tracce di salsedine. Questo ritrovamento - dicono i consulenti - invece di chiarire la dinamica dell'incidente, fa sorgere ulteriori dubbi. L'autopsia recita: «La causa della morte è un forte impatto sul plesso solare». Per cui si ipotizza che abbia sbattuto all'interno dell'aereo al momento dell'ammaraggio. Ma come è uscito dall'aereo dopo essere morto? Secondo il parere del dottor Cipolloni, anatomopatologo dell'università La Sapienza di Roma ed esperto di incidenti aeronautici, che ha visto le foto del cadavere, non ci sono dubbi: «Non può essere stato in acqua più di 3 giorni».
I passeggeri. Quanti erano in realtà i passeggeri del volo? Anche su questa cifra è mistero. Secondo i documenti ufficiali di imbarco erano 12, ai quali vanno aggiunti pilota e copilota. Ma a marzo è spuntata la trascrizione dei contatti radio con la torre di controllo. «Il pilota dichiara - si legge nella relazione - e senza ombra di dubbio che ci sono 18 persone a bordo». Chi sono queste 4 persone in più? Le autorità venezuelane, una volta scoperta la trascrizione (fino a quel momento secretata) parlano di «errore del pilota» e sostengono che «nessuno ha mai reclamato la sparizione di queste persone». In realtà scoprire quanti fossero non era difficile. Esisteva un video delle telecamere di sorveglianza all'imbarco del Terminal auxiliar da cui si sarebbe potuto chiarire esattamente chi era salito sull'aereo: purtroppo questo video si autocancella dopo 24 ore. Nessuno ha visto il nastro. Perché, questa la motivazione ufficiale, «l'incidente aereo non è avvenuto nell'aeroporto».
Senza tracce. Anche in caso di ammaraggio «dolce», come quello recente sul fiume Hudson negli Usa, i consulenti ipotizzano «un tempo di galleggiamento basso (2 minuti), ma sufficiente per aprire un portellone, tentare una fuga o far uscire un oggetto per agevolare le ricerche». E invece non è stato trovato niente. Una circostanza che di fatto è inconciliabile persino con la seconda ipotesi, l'ammaraggio distruttivo. Perché i pezzi dell'aereo e del suo contenuto avrebbero dovuto galleggiare. Non è stata trovata nemmeno la famosa scatola nera, che comprende un dispositivo che una volta a contatto con l'acqua emette ultrasuoni per 30 giorni. La traccia dei cellulari. Secondo i consulenti, dai tabulati della compagnia telefonica Movistar «il telefono cellulare di un passeggero venezuelano è stato agganciato a una microcella in Colombia 2 giorni dopo la scomparsa dell'aereo».
Anche il cellulare di Annalisa Montanari, nei minuti successivi al presunto impatto, suonava libero. Ma un telefono cellulare sott'acqua non può risultare libero. Né agganciare cellule.felice.manti@ilgiornale.it
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