Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Massoneria e luminari, lessico e lacrime, angosce e dubbi, assalti politici e bubboni sanitari, «lesioni dei rapporti» con vice e assessore. Nelle quasi 4 ore di confronto tra la poetica politica di Nichi Vendola e il pragmatismo del potere giudiziario, di temi ne emergono un bel po’. Di certo, nel lunghissimo interrogatorio (157 pagine) del 6 luglio 2009 con la pm barese Desirée Digeronimo, il governatore pugliese più volte contraddice con le sue parole quanto emergeva dalle intercettazioni e dalle indagini. Si affida al suo lessico per dare un tocco di stile al verbale, ma cade dalle nuvole ogni volta che viene messo di fronte al quadro indiziario che mostrava la sanità pugliese come un verminaio, anche dopo quattro anni di «primavera» targata Nichi. Certe volte sembra un marziano, impegnato nel nome della trasparenza a rimuovere i dirigenti sanitari al primo cattivo odore, per trasalire all’idea che, forse, qualcuno alle sue spalle approfittava di quelle rimozioni per favorire i propri fedelissimi. Eppure questo disarmante candore non è una costante. Perché lui stesso, in una delle due lunghe risposte al pm, sembra quasi ammettere la sconfitta. Prima paragona – lui, mica il magistrato - la sanità a un «casinò», visto i soldi che ci girano, «dalle slot-machine all’ingresso, che possono essere la spesa corrente per le infermerie, per l’acquisto dei cerotti, per l’acquisto di non so che cosa, fino alla roulette o al black jack, che sono gli appalti per i grandi macchinari, per cose di questo genere». Poi dà un quadro a dir poco lapidario delle sue conoscenze del settore: «Io so che la Sanità è un grande bubbone, fine della storia». E infine, per uno che su quel tema aveva vinto le elezioni, e che appunto era al timone ormai da quattro anni, aggiunge una cosa sorprendente. «Quello che scopro duramente è che nessuno ha una conoscenza critica, approfondita della Sanità, e che anche il centrosinistra, la mia coalizione, che aveva fatto la battaglia contro il piano di riordino del mio predecessore, in realtà non aveva, non c’è la conoscenza, perché non è utile la conoscenza. La conoscenza del sistema sanitario è pericolosa, perché invece il sistema sanitario così come è a ciascuno può offrire degli spazi di entratura». Denuncia coraggiosa, ma quel «bubbone» era una parte della macchina-Regione che aveva al vertice proprio lui.
A Vendola tra l’altro viene chiesto se ha mai sospettato che la fiducia in Tedesco fosse mal riposta, visto che aveva accostato all’assessore alla Sanità un consulente di sua fiducia, Tommaso Fiore, attuale titolare dell’assessorato. E la replica di Nichi suona come uno scaricabarile verso il Pd, il cui reggente pugliese era il sindaco di Bari, Emiliano. «Il rapporto si è andato incrinando, ha avuto momenti in cui lui faceva grandi recuperi, avevo i momenti in cui ero assediato dai dubbi e dall’angoscia, ma naturalmente ho sempre pensato di non avere nessuna credibile alternativa, perché mai il Pd mi avrebbe consentito di nominare l’unica altra persona non solo competente, ma per me di totale affidabilità morale, che era Tommaso Fiore». Ossia l’«assessore-ombra», come Vendola stesso lo definisce. Eppure, anche la nomina di Tedesco, che Vendola a parole ha sempre difeso fino alle sue dimissioni, persino quando l’opposizione pose la questione del conflitto d’interesse, con le aziende dei figli che fatturavano milioni con la sanità pubblica, diventa un momento di intimo tormento nei ricordi del governatore. «Ma è stata per me la scelta dell’assessore alla Sanità – chiosa il presidente - uno dei passaggi più difficili, quello che mi ha tolto il sonno per diverse notti». Ma rotti gli indugi, racconta ancora Vendola, ha fondato con Tedesco un rapporto basato sul «mandato fiduciario», ossia «un vincolo per la vita, una cosa che difficilmente possa essere violata», spiega il poeta politico.
Che va meno sul lirismo quando gli si contestano la sostituzione e la nomina dei direttori sanitari della Asl di Lecce, un punto sul quale il gip che ha chiesto l’arresto per Tedesco aveva posto dubbi sulla correttezza della richiesta di archiviazione per Vendola. Nichi replica che la rimozione del dirigente, Franco Sanapo, l’aveva voluta lui perché «aveva incontrato pazienti, cittadini, non so chi, aveva avuto degli incontri in quello che fu chiamato ambulatorio del vicepresidente Frisullo suo ufficio, non so che cavolo sia, e questo fatto, siccome era un fatto di dominio pubblico, era diventato un fatto di dominio pubblico a Lecce, ed in qualche maniera era il fatto che rendeva forte una rappresentazione che io, ogni volta che mettevo piede a Lecce già sentivo, di una certa presenza della politica, di un assedio della politica intorno alla Asl». Così decide di fare pulizia. Peccato che, secondo la procura di Bari, il successore di Sanapo, Valente, fosse stato piazzato lì da Tedesco con tanto di giunta riunita ad hoc per firmare il contratto prima che il nuovo dirigente, compiuti 65 anni il giorno dopo, perdesse i requisiti per l’incarico.
C’è poi un retroscena «massonico» alle presunte pressioni del presidente Vendola per trovare un posto da primario al medico barese, assistente ad Harvard, Giancarlo Logroscino. Vendola spiega che a segnalargli il luminare era stata l’ex parlamentare di Rifondazione Maria Celeste Nardini. Ovviamente non è una raccomandazione, ma «un ritorno di un cervello», nelle parole del presidente. A cui viene fatta ascoltare la telefonata in cui lo stesso Vendola chiede lumi a Tedesco per la vittoria di un altro candidato al concorso cui partecipava il «cervello»: «Don Mimmo – dice Vendola intercettato - sostiene che non ha potuto far vincere Logroscino perché tu hai detto di far vincere questo Tamma». Vendola minimizza a verbale: «Mi sono un po’ agitato, perché non erano andate in una certa maniera le cose, tutto qua». Ma Vendola e Tedesco hanno in mente un’altra soluzione per garantire il primariato al luminare (che non andrà in porto), e la pm bacchetta il governatore: «Presidente, prima si fanno i concorsi e le gare, poi si individuano i primari, non si fanno i primariati ad personam». E, sempre in una conversazione intercettata sulla questione-Logroscino che gli inquirenti fanno ascoltare al presidente, Vendola che dice a Tedesco: «Lì mi hanno spiegato a Roma che è un giro di massoneria che si è mosso». Addirittura i grembiulini per spingere il «cervello di ritorno»? Vendola balbetta. Non ricorda. Mette a verbale una risposta memorabile: «Sono molto stupito di questa mia dichiarazione sulla massoneria». In fondo, anche i pm.
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