«Dire che sono stato io a mettere sul tavolo la questione della legge Gentiloni è davvero troppo...». A chi lo sente per telefono poco prima della partita del Milan, Berlusconi non nasconde le sue perplessità sulleco avuta dal suo intervento mattutino a Neveazzurra. Perché, è il ragionamento del Cavaliere, a rilanciare il ddl Gentiloni «non sono stato certo io». Piuttosto, spiega Bonaiuti, è stato Prodi che «nel vertice di maggioranza di giovedì» ha rimesso la questione «in agenda». Un fatto tuttaltro che atteso se lindomani il Corriere della Sera titolava la prima pagina anche sul «tema del conflitto dinteressi rilanciato a sorpresa». «E che doveva fare Berlusconi, stare zitto?», chiosa a sera il portavoce del Cavaliere. Da una parte, convinto che lalzata di scudi che segue luscita dellex premier sia la conferma che una fetta della maggioranza «fa di tutto per stoppare laccordo sulla riforma elettorale». Dallaltra, «soddisfatto» dalla distensione in corso con An, visto che Fini non ha fatto mistero di considerare «molto positivo» lintervento del Cavaliere a sostegno del presidenzialismo.
Ma andando a sfogliare il mare di dichiarazioni che in pochi attimi invadono le agenzie di stampa, a saltare agli occhi sono soprattutto quelle della sinistra radicale e del corposo battaglione prodiano. La prima sempre pronta ad accarezzare con una certa nostalgia lantiberlusconismo a oltranza; il secondo, invece, deciso a cavalcare la querelle nel tentativo di disarcionare Veltroni nella sua corsa verso unintesa che porterebbe inevitabilmente alle urne nel 2009. Questi ultimi in buona compagnia, visto che la testa del sindaco di Roma nel Pd di questi tempi fa gola a molti. Ma a dire «basta alle manfrine» e rilanciare ufficialmente il ddl Gentiloni è stato soprattutto Prodi. «Allimprovviso e dopo due mesi di silenzio», spiega lazzurro Napoli, «visto che lultimo voto in Commissione risale alla prima metà di novembre». Un silenzio dovuto anche al fatto che non cè solo Berlusconi tra gli avversari della legge, ma pure molti autorevoli esponenti del centrosinistra. Che sanno bene come porterebbe una rivoluzione pure in Rai, con il Parlamento - e nel caso specifico lUnione - che verrebbe a perdere il potere di nominare il Cda. Che, guarda un po, scade a maggio.
Insomma, al di là degli affondi di Parisi («nessuna resa») o Mastella («va approvato subito») è difficile credere che il ddl Gentiloni possa essere qualcosa di più di un fucile puntato sulla via delle riforme.
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