Con la festa del cinema, in via Veneto arrivano anche gli sciuscià. Ma non si tratta di giovani scugnizzi napoletani che si arrangiano per racimolare qualche spicciolo lucidando le scarpe dei «signori», né di attori che girano uno spot per pubblicizzare un prodotto, ma di giovani immigrati, alcuni con laurea o diploma professionale in tasca, che in Italia hanno trovato rifugio politico ma non un lavoro per potersi costruire una nuova vita in terra di pace.
Ecco allora lidea-provocazione di Ali spa, la società di lavoro interinale che per dare visibilità al problema dellinserimento nel mondo del lavoro degli immigrati ha scelto la via della Dolce vita, vetrina mondiale dal 13 al 21 ottobre, per far rivivere un lavoro divenuto famoso nel mondo grazie a «Sciuscià», capolavoro di neorealismo firmato Roberto Rossellini, premiato da un Oscar nel 47 e che può tornare ad esistere come accade a Londra o a New York. Ma a fare gli sciuscià - il termine deriva dalla contrazione dellinglese shoe shine, vale a dire lustrascarpe - non saranno Pasquale e Giuseppe del film di Rossellini. Ad inginocchiarsi davanti alla poltrona rossa si alterneranno Mohamed, Siriki, Elias, Wubet e ancora Mohamed. Giovani che vengono da terre lontane, martoriate da guerre civili come la Liberia, la Costa dAvorio, lEritrea e la Guinea. Masticano litaliano ma parlano linglese, oltre alla lingua del proprio paese, e il francese.
Il design delle mitiche poltrone degli sciuscià è liberamente ispirato alle ambientazioni tipiche da Oriente Express, degli alberghi canonici e lussuosi che si trovano alle fermate dello storico treno. Altra immagine ispiratrice è quella del Perapalace di Istanbul, luogo sacro per il cinema, in cui ha soggiornato Agatha Christie per scrivere diversi suoi romanzi.
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