«I partigiani dicano tutta la verità»

Giampaolo Pansa ha dedicato la sua attività di storico alla guerra civile. Le sue opere revisioniste (appellativo che l’autore rivendica con orgoglio) hanno avuto un impatto enorme. Il sangue dei vinti, bestseller nel 2003, ha imposto all’opinione pubblica un irrisolto problema storiografico, civile e politico: la violenza dei partigiani comunisti dopo il 25 aprile, la mancata ammissione di quei crimini, la conseguente incapacità di rinnovamento della sinistra. Temi ora riaperti dal ricorso alla corte dell’Aia presentato dal figlio di un milite della Rsi, assassinato senza processo nel 1944 da una brigata comunista nel piacentino.
Qual è il suo giudizio sulla vicenda giudiziaria?
«Un figlio che ha sofferto un simile dolore ha il diritto di fare quello che vuole. Lo capisco, è legittimo. Mi rendo conto a ogni incontro col pubblico quando presento i miei libri quanto questa sofferenza sia sentita».
Ma la verità storica può essere stabilita da un tribunale?
«Non credo che la verità storica sia accertabile attraverso le sentenze. E forse la corte dell’Aia non è l’organismo più adatto. Mi domando anche, nel caso si aprisse un’istruttoria: contro chi sarebbe indirizzata? Lo dico, sia chiaro, col massimo rispetto per chi si è rivolto al tribunale e per il tribunale stesso».
Le ferite sono ancora aperte. Quando si richiuderanno?
«Si richiuderanno solo quando gli interessati racconteranno tutta la verità, quando i partigiani racconteranno tutta la verità: in Italia una parte della Resistenza ha combattuto una guerra per sostituire una dittatura nera con una dittatura rossa».


Nei suoi libri, Lei ha più volte raccontato le vicende del piacentino negli anni della guerra civile.
«La zona, la Valtrebbia in particolare, fu teatro di scontri feroci, anche a causa dei dissensi tra capi partigiani e commissari del partito comunista. Durante la guerra civile accadde di tutto».

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