I partiti del 4 per cento dicono addio al Pd

I partiti del 4 per cento dicono addio al Pd

Ora Claudio Burlando trema davvero. Minacciato dal suo stesso partito, che se n’è tranquillamente fregato del suo appello contro lo sbarramento al 4 per cento nella prossima legge elettorale per le Europee di primavera. Il Pd ha consegnato il governatore nelle mani di quei partitini che si sono visti staccare la spina per un’eutanasia politica senza appello, ma che sono ancora indispensabili alla sopravvivenza delle varie giunte negli enti locali. Prima tra tutte quella della Regione Liguria.
Ieri i deputati del Pd si sono riuniti e hanno discusso la linea da seguire a proposito della riforma elettorale. Risultato: solo in quattro hanno detto no alle nuove regole, due si sono astenuti. E tra questi nessun deputato ligure. Un particolare che ha fatto infuriare gli alleati che già in mattinata avevano preparato la loro dichiarazione di guerra. «Ora abbiamo la riprova delle lacrime di coccodrillo dei deputati liguri del Pd - tuona Giacomo Conti, segretario regionale di Rifondazione Comunista - All’indomani delle elezioni si dichiaravano dispiaciuti dell’esclusione della sinistra dal parlamento. Mario Tullo addirittura aveva detto che si sarebbe fatto portavoce delle nostre istanze. Ecco la dimostrazione». Fin qui la delusione. Poi c’è la parte pratica, quella che potrebbe avere conseguenze devastanti per il centrosinistra. In mattinata lo stesso Giacomo Conti, insieme al collega capogruppo in Regione Marco Nesci, aveva frenato sulle «reazioni automatiche tra la nuova legge elettorale e il ritiro della fiducia a Burlando». Poche ore più tardi, il tenore delle risposte era già diverso. «È dura che chi a Roma ha tenuto questo comportamento poi possa venire in Liguria a cercare il nostro appoggio», ha sottolineato, ribadendo che «tanto per cominciare è congelato ogni possibile accordo in vista delle amministrative che si terranno contemporaneamente alle europee». Tanto per cominciare.
E per finire? A precisa domanda sulla tenuta della giunta Burlando risponde Cristina Morelli, capogruppo dei Verdi. «Ci atterremo a quelle che saranno le decisioni dei nostri partiti a livello nazionale - attacca senza timore - Ma ci saranno ripercussioni su tutte le alleanze, a tutti i livelli. A poco servono le dichiarazioni di singoli presidenti o sindaci». Tanto che nel pomeriggio è saltato il consiglio comunale di Genova per l’abbandono dei gruppi di Rifondazione e Ulivo, seguiti dalla minoranza («Basta fare da stampella per riparare alle loro divisioni», hanno commentato Aldo Praticò e Giuseppe Murolo di An e Lilli Lauro dei biasottiani).
Intanto il calendario dei vertici romani si fa incalzante e preoccupante. «Venerdì ci sarà il consiglio nazionale - si inserisce Roberta Gasco dell’Udeur, finora in maggioranza - Con il Pd abbiamo già avuto grandi momenti di tensione». Un giorno e toccherà anche ai Comunisti Italiani, che riunirà sabato la segreteria regionale. Ma il capogruppo Tirreno Bianchi ha già emesso la sua sentenza: «Dispiace che Veltroni non abbia per l’ennesima volta mantenuto la promessa: quella di andare in Africa. Sono contento per gli africani, ma purtroppo è ancora qui». Anche Mauro Gradi, segretario regionale del Ps, annuncia «ogni iniziativa utile a sventare il golpe in nome della democrazia».

Di tutti gli alleati, è però l’unico che non preoccupa Burlando: non ha consiglieri regionali da convincere a votare la sfiducia. Gli altri partiti sono già sufficienti. Almeno fino a che, come ha detto recentemente Burlando, con le nuove elezioni, anche loro diverranno inutili.

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