I pericoli del dolore nervoso

Le crisi neuropatiche non sono transitorie: senza l’aiuto del medico possono acuirsi e diventare insopportabili

Gianni Mozzo

Il controllo del dolore, e la sua eliminazione, hanno rappresentato per secoli un problema centrale della medicina. È caduta, per fortuna, la convinzione che «bisogna sopportarlo». E nella guerra al dolore sono stati raggiunti, negli ultimi vent’anni, importanti risultati. Molto dipende da una precisa diagnosi.
Il dolore neuropatico, certamente sottostimato, affligge almeno l’8 per cento della popolazione italiana. Si manifesta dopo una lesione del sistema nervoso, centrale o periferico e dà sensazioni dolorose che vanno dal formicolio alla scossa, dalle fitte ai bruciori. Il paziente pensa sempre a episodi passeggeri (le forme croniche, infatti, non sono frequenti). Solo quattro pazienti su cento, come ha accertato una ricerca di Eurisko Salute.
Le neoplasie, le vasculopatie, il diabete, i traumi, sono spesso all’origine di questo tipo di dolore, che può dare anche depressione, ansia ed altre reazioni emotive, influendo sulla psicologia e sulla vita sociale dei pazienti. Secondo il professor Paolo Marchettini, responsabile del Centro di Medicina del dolore nell’ospedale milanese San Raffaele, il dolore neuropatico è più diffuso di quanto si creda ma non è correttamente diagnosticato, almeno nella metà dei casi.
Esistono forme pure (per esempio quelle legate al diabete) e forme «miste»: la lombosciatalgia, in particolare, in un caso su tre provoca un dolore con una componente neuropatica. Sono inoltre in continua crescita i casi di dolore post-chirurgico. Un soggetto operato al cuore può accusare fitte dolorose due-tre mesi dopo l’intervento. Questo dolore è dovuto non tanto ai processi di cicatrizzazione - ormai conclusi - quanto al risentimento delle fibre nervose.
Un altro importante capitolo, ha ricordato Marchettini, riguarda il dolore oncologico, che oggi non viene più ritenuto «inevitabile». Queste sensazioni dolorose, spesso intense, possono manifestarsi dopo quattro-cinque anni dall’intervento chirurgico, con una reazione tardiva del tessuto nervoso. In ogni caso, serve una diagnosi precisa ed una terapia adeguata (non l’automedicazione). Le linee-guida più recenti suggeriscono una polifarmacoterapia, ovvero la somministrazione di più farmaci, perché spesso nello stesso paziente coesistono dolori di diversa origine.
Negli ultimi anni ha dato buoni risultati un farmaco anti-epilettico (nome chimico: pregabalin), ampiamente sperimentato in Italia e all’estero, ben tollerato, che attenua il dolore già dopo una settimana. Il dolore è il più comune sintomo di malattia: rivela che nell’organismo sta accadendo qualcosa di insolito e di pericoloso.

Secondo una regola accettata universalmente, il dolore può essere: transitorio, che scompare con la cessazione dello stimolo; irradiato, che partendo da un punto di origine, per esempio la schiena, si diffonde, diventa cronico quando lo stimolo doloroso resiste e porta anche alla depressione.

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