I personaggi e i fatti che raccontano la storia del nostro Paese in una serie di immagini d'autore

Da bambino era al Collegio degli Orfani in via degli Orfani a Roma, dove sua madre Rosa diventò amica di mia nonna Amelia e vivevano tutti in via Parione, dietro piazza Navona. Per me è un personaggio di casa: mia madre raccontava che quando giocavano, lui vestito di vellutino nero voleva fare soltanto il giornalista. Poi me lo sono ritrovato nella Commissione Mitrokhin dove io ero presidente e lui uno dei 40 componenti. Nella sua lunga carriera politica non aveva mai fatto parte di una commissione d'inchiesta ma nella mia fu un impeccabile sabotatore: difendeva il vecchio mondo, il vecchio ordine di cui lui stesso faceva parte. Cossiga lo nominò senatore a vita, con un colpo a sorpresa. E da allora, salute permettendo, Andreotti è stato sempre al suo posto su uno scranno di prima fila dove il velluto rosso si è consumato. L'ho osservato per anni al Senato. Scriveva sempre con la sua stilografica blu, una grafia minutissima e geroglifica.
Secondo i racconti di casa, la madre di Andreotti osservava con preoccupazione il piccolo Giulio: «Questo qui - diceva - non mi sembra come gli altri bambini: o finisce male, o diventa qualcuno». Come sappiamo diventò qualcuno. Cominciò durante l'occupazione nazista, nascosto in un convento a far politica con i cattolici e poi subito dopo diventò il pupillo di Alcide De Gasperi, un trentino ossuto e onesto cresciuto come deputato al Parlamento di Vienna il quale lo volle immediatamente con sé nominandolo a 28 anni sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Poi De Gasperi si eclissò, amareggiato dalle incomprensioni e dalle guerre intestine dopo aver vinto le elezioni del 1948 contro il «Fronte Popolare» di Nenni e Togliatti e lui, Andreotti, si lanciò nel più formidabile cursus honorum del primo partito italiano, la Democrazia Cristiana, dove aveva la sua piccola corrente, «Primavera», e per decenni fu il deputato, e ministro e primo ministro, più votato d'Italia, con il voto massiccio del clero: le monache lo votavano in massa. Poi diventò l'apostolo del «compromesso storico» dopo che Aldo Moro - che di quel compromesso avrebbe dovuto essere il garante una volta eletto al Quirinale - fu eliminato fisicamente da un commando armato delle Brigate rosse, certamente non soltanto italiano (trovai io stesso a Budapest le prove dell'arruolamento di molti Br nell'organizzazione «Separat» gestita da Stasi e Kgb).
Andreotti guidò il primo governo a partecipazione comunista (senza ministri) rimanendo per sempre collegato a quel partito e al suo mondo.

Quando andai in visita nella Libia di Gheddafi con la Commissione Esteri del Senato, il ministro libico Trekki raccontò con le lacrime agli occhi le parole con cui Andreotti in visita a Tripoli commentò la caduta dell'Urss: «È un disastro per tutti noi, il mondo sarà egemonizzato dagli americani». Ma quando cadde il muro di Berlino disse: «Io adoro talmente i tedeschi che di Germanie ne vorrei sempre almeno due». La sua frase più cinica e realista è stata «Il potere logora chi non ce l'ha».

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