I pirati sfidano gli Usa «Ora nessuna pietà» Obama: li fermeremo

La situazione è cambiata al largo del Corno d'Africa. Il blitz degli incursori della marina americana, i “Navy Seals”, studiato nei minimi dettagli per liberare Richard Phillips, l'ostaggio americano che era finito nelle mani dei pirati dopo l'attacco fallito alla «Maersk Alabama», ha messo in subbuglio tutti i predoni della costa somala, già agitati dopo la missione della Marina francese per liberare i passeggeri di una barca a vela. «Abbiamo deciso di uccidere marinai americani e francesi se capiteranno tra i nostri futuri ostaggi», ha dichiarato Abdullahi Ahmed come portavoce di un gruppo di pirati basato a Harardhere, città costiera della Somalia centrale.
La morte di tre predoni nel blitz statunitense, alla quale si sono aggiunte altre due vittime nell'azione francese di venerdì scorso, è una novità che i comandanti dei gruppi somali non sono disposti ad accettare. «Fino ad ora noi non avevamo mai ucciso, ci limitavamo a chiedere i riscatti - ha attaccato Ali Nur, un capo pirata che vive a Garàad, villaggio nella regione somala semi-autonoma di Puntland -. Ora per gli ostaggi francesi e quelli americani non ci sarà pietà, visto che gli Usa hanno anche arrestato un negoziatore che trattava la liberazione del capitano Phillips». E le loro ritorsioni per le morti di Mohamed Ahmed Adawe, Nur Dalabey e Khalif Guled (tre degli uomini di maggior esperienza del gruppo che ha attaccato la nave con l'equipaggio americano) sono già cominciate: diversi colpi di mortaio sono stati sparati contro un jet che stava decollando da Mogadiscio con a bordo un parlamentare statunitense, il democratico del New Jersey Donald Payne. Stando a fonti aeroportuali e dell'Unione africana, «il velivolo su cui viaggia il deputato era in procinto di decollare quando hanno cominciato a piovere colpi di mortaio. Non ci sono stati feriti, ma si è trattato di un attacco contro il politico statunitense che ne è uscito incolume». La visita di Payne a Mogadiscio, la prima di un parlamentare statunitense dal 1994, aveva avuto come oggetto proprio la minaccia della pirateria e il presidente della sottocommissione Esteri sull'Africa aveva parlato con il primo ministro somalo per capire come la comunità internazionale potesse assistere il governo di transizione dell'ex colonia italiana.
Ma ora che il blitz per la liberazione del capitano Phillips è riuscito e che i pirati hanno risposto minacciando ritorsioni anche in acque più lontane, è sceso in campo anche Barack Obama. «Orgoglioso di come l'operazione è stata portata a termine», il presidente si è detto «felice» per il capitano Phillips e la sua famiglia: «La sicurezza per la sua vita è stata la nostra prima preoccupazione. Ho parlato con la moglie del capitano e mi ha detto che la sua non poteva essere una Pasqua migliore».
Ha aggiunto che gli Stati Uniti sono «decisi a trovare una soluzione alla minaccia della pitareria» nella regione del Golfo di Aden e che la questione riguarda anche i Paesi alleati e i partner con i quali gli Stati Uniti lavoreranno in tal senso.

Anche per questo, il blitz Usa si è mantenuto nei limiti di una risoluzione dell'Onu che permette di attaccare le navi pirate mentre sono in acqua ma non di attaccare i pirati sul territorio somalo: un attacco a terra avrebbe sollevato un vespaio internazionale, mentre gli Stati Uniti puntano a coinvolgere i paesi islamici nella gestione della “crisi” pirateria e avrebbero già iniziato ad affrontare la questione col governo yemenita, che controlla l'altra sponda del Golfo.

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