Tre parole in italiano: «Buon giorno giudice». Il resto in inglese, tre minuti bagnati dalle lacrime, le mani che si agitano nervosamente come a caricare le parole di verità. Eccola Amanda in aula, di fronte alla stretta finale. Non canta più i Beatles e non ha più quello sguardo lontano, sfuggente di quando la polizia la interrogava. «Sono innocente, Mez era mia amica... Perché mai avrei dovuto ucciderla?», ripete. «Eppoi non ero lì quella sera». Deve convincere gli italiani, col suo «candore», con quei lineamenti da pin up che hanno già spinto un giudice della Corte Suprema di Seattle - vicino di casa della famiglia Knox e padre di una sua compagna di classe - a firmarle un’accorata difesa. Definendo Amanda una «vittima innocente».
I pm Giuliano Mignini e Manuela Comodi non battono ciglio. Assistono in silenzio. La loro requisitoria è pronta e durerà ore. Il quadro delineato dall’inchiesta, dai testimoni più o meno a «doppio taglio» per loro è preciso. Inconfutabile. E pesantissimo. «Un gioco sessuale a quattro al quale la povera Meredith non volle partecipare».
Starebbe tutto qua, in una serata tra studenti annoiati e probabilmente troppo drogati, il movente del delitto. Meredith accoltellata nella sua camera, la notte dopo Halloween, ritrovata per terra, sotto una coperta. Come a nascondere l’orrore. Per questo omicidio alla sbarra ci sono Amanda Knox, il suo (ex) fidanzato Raffaele Sollecito e l’ivoriano Rudy Guede, lo sbandatello del gruppo.
Qualche mese fa, lui aveva chiesto e ottenuto il rito abbreviato, le strade processuali si separeranno, ma ieri, nell’aula A del palazzo di Giustizia di Perugia, erano lì, tutti e tre a guardarsi in faccia.
Per l’accusa Amanda, Raffaele e Rudy si trovavano insieme nella casa di via della Pergola quella notte tra l’1 e il 2 novembre dello scorso anno. E sarebbe stata proprio Amanda a sferrare la coltellata mortale, mentre Sollecito e Rudy tenevano bloccata Mez, il primo afferrandola dal lato sinistro e il secondo tenendola per la gola. L’ivoriano l’avrebbe anche violentata. Un’agonia, una violenza di gruppo durata un’ora.
A incastrare il terzetto, impronte, tracce di Dna, le stesse ammissioni, parziali, di Rudy.
Una tesi che convince gli avvocati che rappresentano la famiglia della vittima. «Dai riscontri della polizia scientifica emerge esattamente come è stata uccisa la povera Mez», spiegano. «Siamo convinti che sia stata provata la responsabilità e la presenza dei tre nella casa dove Meredith venne uccisa».
Così per Guede l’accusa ora chiede l’ergastolo; per gli altri due il rinvio a giudizio.
Lunedì si ricomincia. Stavolta la parola alle difese. E sarà battaglia, un tiro al piattello sulle responsabilità. Tutti e tre gli imputati si dichiarano da sempre innocenti.
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