Abbiamo la certezza che almeno due procure della Repubblica, una al Nord e una al Sud, tengono sotto controllo i telefoni e i telefonini di direttori e vicedirettori de Il Giornale . Cioè i nostri. Al momento nessuno di noi è coinvolto in procedimenti giudiziari, nessuno ha ricevuto avvisi di garanzia né è mai stato convocato da alcuna autorità anche solo come testimone a conoscenza dei fatti. Per quello che ne sappiamo, insomma, siamo «puliti », come direbbero in questura. Eppure ci sono pm che si divertono ad ascoltare le nostre conversazioni. Personalmente sono certo di non aver commesso reati, esclusa la violazione del codice della strada. Non traffico né faccio uso di droghe, non ho rubato né preso tangenti, in quanto a pulsioni sessuali sono della vecchia scuola (cioè a norma di legge e di morale pubblica). Per cui è ovvio chiedersi: perché?
Le risposte sono tre. La prima. I magistrati sospettano che tutti noi, guarda la coincidenza, abbiamo commesso ognuno un reato diverso dall’altro che non ha nulla a che fare con la nostra professione, e perciò legittimamente indagano. La seconda. I magistrati sono curiosi di sapere che cosa diciamo al telefono perché non si sa mai, magari qualche cosa si scopre: una battuta, una frase che può essere indizio di reato o di gossip privato da passare al momento giusto a ricattatori fabbricanti di dossier. La terza. Ai magistrati non interessa quello che diciamo noi, ma sono curiosi di sapere che cosa dicono i personaggi della politica coi quali ogni giorno parliamo per dovere d’ufficio. Insomma, veniamo usati per ascoltare persone che, almeno ufficialmente, sarebbe vietato intercettare.
Escludendo, salvo prova contraria, la prima ipotesi, restano le altre due, entrambe inquietanti e indegne di un Paese civile e liberale. Sono anche questi gli abusi dei quali parlava ieri il presidente Berlusconi nel suo discorso di chiusura della festa nazionale del Pdl. C’è un potere, quello della magistratura, che, violando o piegando norme e leggi a suo vantaggio, vuole tenere sotto controllo altri legittimi poteri che dovrebbero godere di piena autonomia, da quello dell’esecutivo a quelli della politica e dell’informazione non allineata sulle loro posizioni. Il tutto con la complicità di singoli uomini e forze politiche che non siedono soltanto, almeno ufficialmente, sui banchi dell’opposizione.
Il paradosso è che accusano noi di fabbricare fango. Lo ha ripetuto anche ieri Lucia Annunziata, comunista non pentita, nel suo programma su Raitre. E chi aveva ospite, la maestrina di giornalismo? Tale Gioacchino Genchi, una sorta di spia al servizio delle procure (e non solo, di recente è entrato anche nell’Idv di Di Pietro), uno che ha intercettato e schedato praticamente mezza Italia, non sempre in modo trasparente. Non solo. La Annunziata ha anche detto di avere ascoltato poco prima l’audio di una intercettazione tra un giornalista (Lavitola) e un misterioso politico. Senza dire di chi si trattasse, quale fosse il contenuto, a che titolo era stata fatta e a che titolo lei l’aveva sentita.
Insomma, un avviso mafioso in diretta sulla Tv di Stato. Ma, ovviamente, trattandosi della rossa Lucia e di Raitre non si parlerà di fango e di dossier, ma di libertà di informazione. Tanto poi gli attentati non li fanno a loro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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