Per i polentoni battere i terroni è stata una sconfitta

Un pamphlet di Lorenzo Del Boca risponde punto per punto al "borbonico" bestseller di Pino Aprile

Centocinquant’anni di Unità d’Italia? Centocinquant’anni di lamentele e di tensioni che tendono a strappare le cuciture che tengono assieme il nostro beneamato stivalone. Questa l’impressione che si potrebbe avere leggendo in parallelo uno dei libri che ha dominato negli ultimi mesi la classifica della saggistica, ossia Terroni di Pino Aprile, e il pamphlet appena arrivato in libreria di Lorenzo Del Boca, che guarda caso si intitola Polentoni (pagg. 192, euro 17,50). Pubblicati, in pura par condicio, dall’editore Piemme, i libri incarnano due stereotipi culturali che hanno iniziato a codificarsi nel nostro immaginario collettivo a partire da quel fatidico 17 marzo 1861 quando gli italiani (che credevano di essere piemontesi, siciliani, lombardi, sardi, ecc.) vennero avvisati di essere italiani. E dopo gli avvisi più o meno amichevoli arrivarono le meno amichevoli coscrizioni obbligatorie, il sistema prefettizio, e la tassa sul macinato.
Ecco allora il j’accuse del Sud eternamente invaso e la risposta arrabbiata del Nord che, negli ultimi decenni, si è sobbarcato un enorme peso che ha frenato il suo travolgente slancio economico. E se per un secolo e mezzo la retorica patria è riuscita a tappare la bocca ai dissenzienti, polentoni o terroni che fossero, ora il pamphlet rivendicativo è molto di moda. Ed è evidente che quello di Del Boca è proprio una risposta alla polemica meridionalista di Aprile, che ha messo in luce tutte le nefandezze compiute dai sabaudi ai danni del Sud. In sostanza: se il Sud piange, il Nord, che paga, non ride affatto.
Del resto Del Boca ha gioco facile, cifre alla mano, a dimostrare che nell’ultimo quarantennio le risorse nazionali sono state spostate a senso unico: «De Gasperi immaginò un piano di sviluppo del Mezzogiorno con uno stanziamento di tremila miliardi di lire di allora da erogare in trent’anni... I mille miliardi di dotazione iniziale, anticipati dalla Banca d’Italia, diventarono 9mila dal 1961 al 1971. Altri 7mila quattrocento, stanziati il 6 ottobre 1972, portarono il patrimonio a 16mila quattrocento miliardi». Il risultato finale? «Si tratto di 140mila miliardi di opere nate già morte perché concepite senza alcun criterio». Abbastanza per concludere che «con il crollo del Muro di Berlino, la Germania Ovest comprò letteralmente la Germania Est investendo una montagna di denaro e scommettendo sul futuro dei tedeschi. A Bonn e a Berlino non parlarono di Risorgimento né di Resistenza ma misero mano al portafoglio. Se l’avessimo fatto noi, sarebbe costato di meno. I padri della Patria potevano acquistare direttamente le province meridionali e il bilancio si sarebbe chiuso con minor passività».
E se questa è l’argomentazione principale non ne mancano moltissime altre a fare da corollario. Il federalismo mancato, Cavour l’artefice della nazione che detta il suo testamento politico in francese, i dubbi degli stessi politici che il risorgimento lo fecero - il meridionale Francesco Crispi per tutti: «Le cuciture con le quali sono stati uniti i sette Stati, per formarne uno solo, non sono, sventuratamente, del tutto sparite» - ma già con disinganno, i contadini del Nord che trovarono il loro riscatto nell’industrializzazione, non certo nel tricolore... Insomma quanto serve a una conclusione amara, già anticipata nella prefazione per non lasciare dubbi al lettore: «Fra gli sconfitti del Risorgimento c’è a buon diritto anche il Nord dal quale, peraltro, è partita la macchina che ha assicurato l’unificazione del paese... E allora, che si celebri questo centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Ma non pretendano che ci si metta anche una dose di entusiasmo supplementare».
Chiudendo il libro, scritto in modo agile e accattivante, risulta subito evidente che ha tutte le carte in regola per scalare anch’esso le classifiche. E poi tutti al pranzo di pasquetta a cantarle belle al cognato meridionale che ci ha insolentito, armato delle tesi di Aprile. E non chiedeteci qui chi ha ragione. Perché è evidente che ce l’hanno tutti. Non è un’affermazione pilatesca o bipartisan. Semplicemente fatti, cifre e affermazioni elencate nei due libri sono corrette. Usandole a tesi si può tirare avanti all’infinito.

Resta il fatto che i lombardi del 1848, almeno i lombardi che contavano, degli zelanti amministratori austriaci non ne potevano più e che i picciotti siciliani appena videro che Garibaldi aveva una chance gli diedero una mano. Esattamente come il consesso delle potenze pensò che l’Italia fosse utile al mondo se questo significava indebolire l’Austria. Sono cose da festeggiare? Di certo da ricordare.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica