Roma - «Pronto, chi taglia?». La gara sembra essere quella tra chi la spara più grossa su come usare il seghetto sulle onorevoli buste paga. Calderoli lancia il sasso: «Riduciamo del 5% gli stipendi di ministri e parlamentari», butta là. Bruscolini: otto milioni di euro l’anno, non di più. Serve o no? No. È una briciola. Ma è un segnale, un simbolo, un primo passo. Mica si ferma qui, Calderoli: propone colpi di forbice anche per le cicale, anzi le «cicalone». Sono i «capoccioni vari, i manager pubblici, i presidenti delle authority ma anche il personale della Camera», vera sanguisuga del bilancio di Montecitorio.
«Perché non rinunciamo tutti a tre mensilità da versare a chi perde il lavoro?», contropropone il ministro Rotondi. Bella idea, roba forte. Tre o forse qualcosina in più. Perché non dar retta a quanto dice Gasparri? «Non solo piccole percentuali di riduzione degli stipendi, ma subito la rinuncia ad “almeno” tre indennità mensili». Applausi. Però «creiamo un fondo che noi alimentiamo con il taglio che ci facciamo, dandogli però una destinazione precisa. Altrimenti il cittadino non sa dove vanno a finire i soldi», ragiona il ministro Brambilla. Tre allora? Il ministro La Russa ci pensa su e rilancia: «Devolvere ogni anno uno stipendio intero di tutti coloro che hanno responsabilità politiche o manageriali connesse alla politica. Il valore corrispondente dello stipendio sarà rimesso alla Finanziaria, magari scaglionato o rateizzato negli undici mesi». Cinque per cento? Una mensilità? Due? Tre? Chi offre di più? Manca solo la proposta di limare le indennità negli anni bisestili o quando il mese inizia di week end.
«D’accordo sui tagli ai nostri stipendi, che potrebbero ben essere decurtati del 10 per cento - giura il pidiellino Lehner -. Un risparmio ancora più cospicuo si avrebbe dalla disdetta degli affitti milionari, più le spese per il personale, per garantire ai singoli eletti la disponibilità dell’ufficio a titolo gratuito». Persino il Senatùr fa il sarto e individua i suoi di tagli: «Se c’è da pagare devono farlo tutti ed è giusto che anche i magistrati diano la loro mano, perché lo stipendio dei politici è legato a quello dei magistrati».
Insomma, in un Paese con le pezze al sedere, debito pubblico pachidermico, speculazioni in agguato e sprechi diffusi, il Palazzo dice la sua su come raggranellare euro, fare cassa. L’uomo dei conti è Tremonti, muto fino a giugno, quando porterà la manovra in Consiglio dei ministri. Nell’attesa è assediato dai consigli su dove affondare il bisturi, come tirare la cinghia individuando il buco giusto. La ricetta Calderoli piace da morire e il collega di partito Zaia la fa propria, in salsa federale: «Perfettamente d’accordo. Ci allineeremo al 5 per cento: porterò la proposta in giunta martedì», giura il neo governatore del Veneto. Già, la periferia. Il ministro Sacconi pensa al dettaglio: «I tagli non si limiteranno agli stipendi dei parlamentari. Pensiamo ai tanti micro-comuni sparsi nel Paese che devono sostenere ingenti costi per garantire ai cittadini i servizi essenziali. Si possono prevedere forme di associazione obbligatoria tra enti locali per fare economie di scala e ottenere risparmi».
Chiudere il rubinetto delle uscite, arginare le spese, specie degli enti locali, bestie succhiasoldi che in cambio danno servizi da terzo mondo. «Bisogna tagliare o bloccare la spesa di Regioni, Regioni speciali e Province, in attesa del loro superamento», conciona Cicchitto, consapevole che le altre idrovore sono i cosiddetti enti inutili: «Analogo discorso va fatto per le comunità montane». Affilerebbe le lame della forbice pure la deputata pidiellina Boniver secondo cui «i riflettori del risparmio si devono accendere anche su certe pensioni d’oro, nonché sugli stipendi e bonus dei mega manager che potrebbero essere utilmente decurtati a favore delle casse dello Stato». Anche Malan ha una sua idea: «S’è visto il lievitare delle spese per certi grand commis, alti papaveri, direttori galattici, mega consulenti, eletti da nessuno, e non tutti così capaci e onesti. Si potrebbe, ad esempio, tagliare del 10% la parte che supera gli 80mila euro lordi per tutti i dipendenti e i consulenti pagati con il denaro pubblico».
Soltanto il comunista Paolo Ferrero spariglia e sale in groppa al vecchio cavallo di battaglia comunista: «Tassa patrimoniale, tassa sulle rendite e sulle successioni per i grandi patrimoni nonché tagli alle spese militari».
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