Caro Massimiliano Lussana, ho letto il suo editoriale e devo dirle che conoscere dettagliatamente nel suo intervento alcuni articoli della legge 194/78 mi ha fatto capire quanto questa legge sia poco conosciuta nella cultura popolare e quanto, su questo argomento della maternità, si debbano spendere più parole e più risorse per comprendere le necessità delle donne, tenendo fuori ogni ideologia perversa che ha portato allo scontro su questa materia.
Io faccio parte di coloro che per questa legge hanno votato al referendum. Ero contraria allaborto allora, come oggi, perché, non soltanto da cattolica ma anche e prima di tutto da madre non potevo accettare all'epoca, come non potrei farlo oggi, la giustificazione del «semplice grumo di sangue» per definire quel concepito. Non sono sensitiva alla maniera del mago Do Nascimineto di Wanna Marchi, mi creda, ma ricordo con grande emozione il legame che da subito mi faceva sentire appartenente al bambino che ho dato alla luce. E Credo che in nome di nessuna ragione, che non sia pura follia, si potrebbe disconoscere o negare questo legame fisiologico tra madre e concepito.
Capisco anche che sia difficile pretendere che tutte le donne diventino madri. Ecco perché ognuna, secondo la sua sensibilità di donna, dovrebbe mettere in pratica quelle piccole regole «femminili» che, al di là della visione cristiana, ti permettono di controllare la nascita di un figlio prima del concepimento e non con un aborto volontario. In poche parole che poi una donna nella solitudine possa arrivare a scegliere l'aborto, questo non è follia della persona ma piena responsabilità della società tutta.
Detto questo, sul caso di cui Lei ha parlato e che avevo già letto sulle colonne del vostro giornale la settimana scorsa, concordo con lei che l'aborto sia argomento tabù, che in qualche modo si preferisce non faccia notizia.
Non mi stupisce Il Secolo XIX che non ha dato la notizia nelle pagine regionali; d'altra parte ho notato, a conferma della polemica del Giornale, che sul sito online del giornale è stato riportato l'episodio, forzando in qualche modo solo la responsabilità del Centro aiuto della vita in questione. Non ne ha parlato neppure Rai3 che seguo quotidianamente, perché credo che certi argomenti alla redazione del tg regionale vengano eliminati da potenti filtri antispam che alla vita preferiscono la morte. Non ne hanno neppure parlato, come diceva lei, molti esponenti della Politica regionale, sia a destra che a sinistra. E questo credo confermi un giudizio fermo e duro di Giuliano Ferrara che nella scorsa campagna elettorale mi colpiva: l'aborto è diventato moralmente indifferente a tal punto che nessuno ha più il coraggio di toccare l'argomento. Anzi, sulla vita, sulla sacralità della vita, ben pochi ci credono e quei pochi si contano a tal punto sulle dita della mano che si può dire appartengano più ad un movimento di opinione che ad una cordata politica.
Se il ginecologo in questione al Consultorio familiare di Albenga ha firmato il certificato di aborto urgente dichiarando la maternità di una donna che non era neppure incinta, ci sono ben pochi discorsi da fare, rimane l'azione ed un'azione efficace nel prevenire altri casi del genere. Dunque cosa aspetta l'Assessore della Sanità Montaldo ad aprire subito un'inchiesta per conoscere le modalità con cui le donne vengono seguite in consultorio nell'iter di interruzione volontaria della gravidanza? Cosa aspetta l'Assessore ai Servizi sociali, il «cattolico» Massimiliano Costa ad impegnarsi per garantire maggiore assistenza alle donne che si trovano in difficoltà di fronte ad una maternità che crea problemi ad una famiglia? Tutti evangelicamente «tiepidi» di fronte alla verità?
Questo è il problema della politica di oggi: cercare «comode poltrone», che però allontanano dalle vere e reali difficoltà della gente comune, della gente che vota e che in un programma elettorale esprime il desiderio di maggiori servizi al cittadino.
Scusi lo sfogo, ma mi sento parte in causa su questo argomento, come donna prima di tutto e come madre.
Arenzano
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