I politici senza morale e il morbo di Paperone

Se non erro, prima della confessione occorre fare un esame di coscienza attento e poi avere il pentimento. Ma le persone si fanno ancora l’esame di coscienza? Alcune sì. Ma a che serve se poi immediatamente si autoassolvono, minimizzano le proprie colpe? Grazie ad alcune testate di giornali che sollevano la saracinesca del «botteghino dei furbetti» è possibile qualche indagine nel borsellino di chi conta. Non per curiosità ma solo per richiamare una virtù in disuso: l’onestà. I disonesti vanno svelati, le loro «cordate» economiche a scapito dello Stato denunciate.
Si va dicendo che è difficile in una società di «furbetti» essere onesti, trasparenti. Certamente, se l’uomo si misura in contanti, l’onestà rischia di essere sfrattata e quel distacco asettico e intelligente dal denaro, non esiste più. La cupidigia, l’avarizia, legittimano qualsiasi impresa economica, a scapito del bene comune. Bustarelle, versamenti bancari con prestanome, raccomandazioni, privilegi negli appalti, tutto ciò per assicurarci l’«iniquo mammona». Ci siamo ormai abituati ad accettare come normalità i «furti intelligenti» di chi frega lo Stato.
I leader delle cricche del «Rubabene» appartengono a ogni schieramento politico. Non faccio di tutta l’erba un fascio, ma un fascio di disonesti sì. Mi chiedo anche: ma sono i soldi il pericolo, il satanaccio che corrompe? Il denaro non va demonizzato, serve per le necessità vitali, ma c’è denaro e denaro. Se procurarsi soldi e prestigio economico è lecito, fa parte della intraprendenza e attività umana; rubare, servirsi del potere politico per avere di più, è vigliaccheria, perdita d’onestà. Dei dieci comandamenti il settimo è davvero in crisi, un po’ per tutti. Provo ad elencare sinteticamente alcuni motivi.
Primo. La considerazione eccessiva dei beni. L’avere, secondo le più diffuse affermazioni popolari, fa felici, dà prestigio, potere, garantisce l’autonomia e mette in risalto la propria immagine e dà al proprio partito maggiore visibilità. Di qui la corsa al possesso, al guadagno, all’imbroglio, per avere sempre di più.
Secondo. Il bisogno nevrotico di sicurezza. Il vuoto interiore, la mancanza di motivazioni profonde, la carenza di valori, la crisi di personalità stanno all’origine dell’ansia, della paura, dell’agitazione. Chi non ha in sé una «struttura» umana venuta a formarsi attraverso il tempo e lo sforzo, accusa uno stato di impotenza, di fronte a se stesso, agli altri, al futuro. La risposta a tale stato di impotenza è immediata: impossessarsi dell’avere, a scapito dell’essere.
Terzo. Il desiderio di apparire e di convalidare l’immagine. L’avere è come un distintivo che garantisce il «prodotto». Chi ha, assicura alla propria immagine lustro, potere, nome. La corsa quindi a garantire le apparenze è sfrenata. L’avidità, la cupidigia, il possesso fungono da garanti per incrementare la visibilità.
Questi sono alcuni motivi che inducono alle disonestà... C’è un rimedio? Forse necessita una nuova cultura, specie per le persone che soffrono della sindrome di Paperone. A tutti consiglio un bagno d’umiltà e una sauna di povertà. La parola «povertà» non va confusa.

Povero non è chi non ha niente, ma chi s’accontenta dell’essenziale. La dipendenza al superfluo è sempre un rischio, prima o poi si finisce nell’elenco (dei ladri) che fa paura.
*Presidente fondazione
Solidarietà umana

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