I pompieri a scuola di buio dai ciechi

I vigili del fuoco imparano a orientarsi in assenza di luce

Gioia Locati

I pompieri e il buio. Succede spesso che il fumo annebbi la vista e li costringa ad affinare gli altri sensi. Devono muoversi in fretta, salvare la gente, c’è sì la «termocamera», (una pila speciale) ma di regola la tiene uno solo della squadra. E gli altri? Avanti nel buio. Tastando, annusando, ascoltando. Anche per questo il direttore regionale dei vigili del fuoco, Dario D’Ambrosio ha insistito: le sue squadre, per ora soltanto tre composte da otto vigili ciascuna, devono imparare dai ciechi. Sì dagli handicappati. Che a luci spente vivono da fenomeni. Ieri il via all’esercitazione visitando la geniale mostra «Il dialogo nel buio» all’istituto dei ciechi. In mano un bastone, in testa una raccomandazione: «Parlate così ci accorgiamo di voi». Dietro la tenda è buio pesto. La guida è Alessandra, giovane, sveglia e cieca dalla nascita. Un pompiere commenta: «Mai visto così tanto buio». Tocchiamo le pareti, usiamo i bastoni, l’ambiente cambia, per terra ora ci sono sassolini, i muri scompaiono, le dita si intrecciano alle fronde. Pini e profumi. Aiuto, si dondola, siamo su un ponte, sotto c’è l’acqua. Già, si sentiva il rumore. Non ci crediamo, immergiamo il bastone, è acqua. E poi vento forte. Dal mare alla città. Che frastuoni, da che parte si va? Meno male che c’è Alessandra, è lei che ci salva. Al bar (buio) beviamo il caffè. Seduti a chiacchierare.

Il vigile Angelo spiega: «Faccio parte del gruppo dei pompieri psicologi, dobbiamo affinare le nostre capacità. Qui impariamo ad ascoltare chi parla, stiamo attenti ai rumori e ci concentriamo su quello che conta davvero».

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