I Pooh ricominciano da tre e raddoppiano: pensiamo al futuro

MilanoE figurarsi se lasciano. Loro raddoppiano, altro che. L’anno scorso a bruciapelo i Pooh erano rimasti in tre. Dopo 38 anni non ne posso più, aveva detto il batterista Stefano D’Orazio, voglio rifarmi un’altra vita senza passare il tempo a occuparmi solo di musica. E amici come prima. Succede. Nei gruppi rock, poi. Però loro no: Roby Facchinetti (inarrestabile), Dodi Battaglia (tuttodunpezzo) e Red Canzian (fondamentale) sono musicisti. Ricchi. Ricchissimi. Ma musicisti, e che musicisti. Perciò ritornano in gioco. Ieri si sono seduti al tavolo e hanno detto papale papale: «Continuiamo». «Lo dobbiamo alla nostra storia». «Non abbiamo mai avuto l’intenzione di fermarci qui dopo così tanti anni». «Dovevamo solo capire come fare». Un anno di riflessioni. Un tour tutto esaurito. Sei mesi di autoanalisi, anche dura. La decisione. I Pooh ricominciano da tre. Avranno un nuovo batterista. E anche un tastierista e un altro chitarrista. Ma saranno «musicisti a progetto», scelti tra candidati anche stranieri e destinati a essere accessori perché «i Pooh rimarranno per sempre in tre». Punto e basta. Incideranno un album, che sarà «il nostro cd più importante»: uscirà a ottobre e sono già state composte quaranta canzoni perché questi tre qui, quasi sessantenni, hanno un’energia che provate a fermarla. E il 27 novembre al Palalottomatica di Roma e il 30 al Forum di Milano (prevendite aperte tra quindici giorni) rieccoli sul palco a presentarsi di nuovo in concerto neppure fossero esordienti, naturalmente insieme ai nuovi acquisti. «Saremo una big band», dicono. Poi, l’anno prossimo vedremo: ma è probabile che inizino un lunghissimo giro di concerti in tutta Italia. «Stefano D’Orazio? Ormai le nostre strade sono separate e noi, quando siamo insieme, ormai parliamo solo di futuro: il passato è passato e non ritorna più».
D’altronde è sempre più difficile sentire tanto entusiasmo in popstar così scafate. Ieri, commossi, parlavano come ragazzini alla prima esperienza e neanche il più malizioso dei giornalisti potrebbe eccepire. Erano uno di fianco all’altro, concentratissimi, e Red Canzian si era pure teneramente appuntato le frasi da leggere. In fondo i Pooh sono così, «musicisti di quelli veri, quelli che vengono dalla gavettona» come spiega Dodi Battaglia. Piacciano o no, sono autentici. E sarà per questo che ieri la maggioranza dei loro fan, sparsi per l’hotel che ha ospitato la conferenza stampa, erano ragazzi: c’è, nella sincerità, una calamita generazionale che in musica paga sempre, bisogna solo aspettare. I Pooh si entusiasmano ancora parlando di partiture, di generi musicali, di direzioni da prendere. Roba che ormai non succede più neanche a pagarla. «Le nostre nuove canzoni saranno una via di mezzo tra il pop sinfonico e il rock». Volendo, sono extraterrestri e trovatela voi un’altra superband che dica, senza pensarci su: «Noi ci piacciamo di più quando siamo più seriosi, più di spessore. Perciò ce ne fregheremo delle regole radiofoniche, esattamente come facevamo agli inizi, quando non sapevamo neanche che esistevano queste cose».

Per spiegarci, i grandi network impongono regole standard per trasmettere i brani: durata contenuta, parti strumentali ridotte, ritornelli orecchiabili e cose così. Sono le forche caudine del pop. Sono quelle regole di cui i nuovi Pooh faranno a meno perché loro ne hanno scelta un’altra, di regola, più vera. La passione. Per la musica. E, un po’, anche per chi la ama ancora.

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