I precari dello spionaggio: alla Cia ci sono 18mila agenti segreti «a progetto»

I collaboratori esterni dell’agenzia sono raddoppiati. E anche nella sede di Bagdad sono più degli assunti

Giuseppe De Bellis

Il cartellino verde timbra la flessibilità. Tempo determinato: data d’inizio e data di fine. Alla Cia gli agenti segreti sono diventati precari, lavoratori in outsourcing, contrattualizzati. In tasca hanno quella tesserina verde: è il segno distintivo, il colore li differenzia dagli assunti. E ormai la tinta è diventata dominante: il sorpasso è arrivato qualche mese fa, quando gli 007 flessibili sono diventati 18mila e quindi di più dei 17.500 interni. A Langley, in Virginia, nel quartier generale dell’agenzia, i green badgers entrano ed escono come dei forsennati, partecipano alle riunioni operative segrete, organizzano squadre e missioni, gestiscono mandati personali e collettivi. Strisciano il passi ed entrano nel fantastico mondo dell’anti-terrorismo, della lotta alla criminalità organizzata, della diplomazia segreta che parte da Washington e arriva in Corea del Nord, come in Iran.
Il nuovo mercato del lavoro non conosce limiti: dall’11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno aumentato costantemente i finanziamenti all’intelligence. È stata creata una superagenzia di coordinamento tra i vari settori dello spionaggio americano, sono stati stanziati fondi di supporto alle attività dell’anti-terrorismo. In tutto questo sono arrivati loro, gli esterni. In cinque anni sono raddoppiati. Secondo il Los Angeles Times, i «precari» della Cia sono i tre quarti degli agenti in servizio nella sede dell’agenzia a Islamabad. Anche a Bagdad, l’ufficio più grande della Central Intelligence Agency fuori dal territorio americano, i contractors superano gli assunti. A Langley, poi, è tutto un appalto. Compresa una delle attività più affascinati e storiche: quella della creazione della falsa identità. Non c’è più un ufficio dove nasce la copertura dell’agente: nome, cognome, attività, lavoro, famiglia. Adesso fa tutto la Abraxas Corp, una società creata da un gruppo di agenti in pensione. Sanno come funziona: inventano e confezionano le legend, come vengono chiamate le identità che proteggono le spie quando sono sul campo. Da loro nascono le Jennifer Garner della serie televisiva Alias: ogni volta un travestimento, ogni operazione un volto nuovo. I dati entrano in un computer e la spia è sempre una persona diversa. La tv ha mutuato il concetto: la Garner è Sydney Bristow, agente arruolata da una divisione occulta della Cia.
Ecco, i contractors lavorano più o meno così, sfrondati dalla sceneggiatura piena di doppi giochi e tradimenti. La vita dei precari dello spionaggio è meno interessante di quella della televisione, ma il cartellino verde vale lo stesso. Per qualcuno vale troppo. Si dice che lo zar dell’Anti-terrorismo Usa, John Negroponte, nei mesi scorsi abbia ordinato uno studio approfondito sugli «esterni». Vuole i dati di tutte le 16 agenzie di intelligence che gli fanno capo per controllare gli appalti concessi e i contratti stipulati. In molti casi i green badgers sono agenti andati in pensione o dimissionari: l’11 settembre ha creato nuovi posti di lavoro, ha fatto crescere la richiesta. Loro erano specializzati, sapevano cosa fare e come farlo. La Cia li ha richiamati come privati a contratto. Anche qui aiuta il cinema: Robert Redford in Spy Game, funzionario che esce e rientra da consulente. Ma tra gli agenti flessibili ci sono anche quelli che si licenziano da dipendenti per entrare da esterni: si guadagna di più, ma si hanno meno certezze. Quando scade il contratto, si torna a casa.

Il fenomeno ha nemici: alcuni politici e diversi analisti sostengono che la fuga dal posto fisso per avere un contratto più vantaggioso da precario sia «un comportamento poco edificante». Si discute. Alla Cia, però, fanno un ragionamento: «Se togliamo i contractors, l’unica cosa da fare è chiudere la baracca».

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