Amburgo - Il sogno di migliaia di archeologi sta forse per diventare realtà: l’Arca dell’Alleanza, la preziosa cassa rivestita in oro in cui Mosè custodì le Tavole della Legge, forse è stata ritrovata.
A darne l’annuncio il professor Ziegert dell’Università di Amburgo, che vanta di aver trovato i resti del palazzo della regina di Saba nei pressi di Axum, nel nord dell’Etiopia. Secondo lo scienziato tedesco l’Arca, unico reperto capace di insidiare il primato del Santo Graal nella classifica dei sogni di ogni cercatore di antichità, compresi quelli per fiction: chi non ricorda le avventure di Indiana Jones, la cui serie cinematografica parte proprio con la ricerca dell’Arca.
Se gli emuli tedeschi di Harrison Ford hanno ragione, la preziosa reliquia sarebbe stata custodita proprio nel leggendario maniero della regina che fu moglie di Re Salomone e madre di Menelik. Il ragazzo, cresciuto con la madre, una volta diventato uomo avrebbe intrapreso un viaggio per conoscere il padre, che gli avrebbe nel loro primo e ultimo incontro affidato l’Arca, che il futuro re etiopico avrebbe portato con sé proprio ad Axum.
La scoperta, qualora si rivelasse fondata, sarebbe una di quelle capaci di far tremare le fondamenta di musei e università, visto che può segnare la fine di una delle ricerche più appassionanti dell’uomo: già nel 1000 dopo Cristo avventurieri e nobili partivano alla volta dell’inestimabile contenitore dei Dieci Comandamenti: «Camminerò sulle vie dell’Arca dell’Alleanza, finché non assaggerò la polvere del luogo dove si cela, che più del miele è dolce...». Sono versi di Yehudah Ben Samuel Halevi (1075-1141), ebreo di Toledo in viaggio per la terra promessa. Esprimono l’appassionata venerazione per l’arca, che guidò il popolo di Israele in Palestina, cadde nella dimenticanza, fu riportata da Davide a Gerusalemme, fu custodita nel Santo dei Santi del tempio di Salomone, per svanire nel nulla quando le armate di Babilonia polverizzarono il sacrario. Non sappiamo se ripetesse a se stesso quei versi Iyasu il Grande, imperatore d’Etiopia, mentre nel 1691 attraversava a cavallo le colline dell’Abissinia per raggiungere la città sacra di Axum. Ma le cronache regali registrano in dettaglio il suo cerimoniale davanti all’arca, tra squilli di trombe, rulli di tamburo, fremiti di sistri e di cetre, inni e salmi di giubilo. Le chiavi dei sacerdoti dischiusero sei dei sette sigilli del forziere che custodiva l’arca e il suo favoloso contenuto: le Tavole della Legge. Ma il settimo sigillo cedette solo alla fede di Iyasu, che sfiorò il possente tabù con la sua mano, scambiò colloqui, ne assorbì la regale energia senza essere annientato dalle misteriose folgori che in passato avevano incenerito altri incauti manipolatori. Era giusto così, perché nelle vene di Iyasu scorreva il sangue di Ebna Hakim (Menelik), nato dagli amori di re Salomone e della regina di Saba: l’arca era il segno tangibile del suo privilegio, il segreto collante di una dinastia ininterrotta. Molti indizi conducono ad Axum, la città delle steli: il Kebra Nagast, un testo del IV sec. d. C., narra il trasferimento dell’arca da Gerusalemme all’Etiopia, con tappe sul Nilo. Ma nessuno sa con certezza se fosse l’arca autentica o una copia.
Metodologicamente, sarebbe come cercare Troia usando i versi epici di Omero come un infallibile navigatore satellitare. Schliemann lo fece, ma c’è ancora chi lo svaluta come visionario. Vendyl Jones diede più credito al libro dei Maccabei, dove si legge che Geremia avrebbe nascosto l’arca in una grotta sul monte Nebo, a est del Mar Morto.
Simbolo più che oggetto reale, il fantomatico parallelepipedo d’oro e di acacia (lo stesso legno imputrescibile che forse Noè uso nel suo cantiere, per l'altra «arca», con la quale, secondo i cabalisti, conserva segrete corrispondenze di proporzioni) l’Arca dell’Alleanza fluttua tra due mondi, storia e mito, fede e ragione: la sua sede è lo spirito, più che la polvere delle rovine.
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