Adalberto Signore
da Roma
Nel suo ufficio al quarto piano di Palazzo Madama, Lucio Malan tamburella sulla tastiera del computer con una certa soddisfazione. Paginate e paginate di fogli Excel, su cui da anni archivia i voti del Senato: decreti, leggi, fiducie, persino le verifiche del numero legale. Con perizia certosina, distinguendo pure tra procedimento elettronico e alzata di mano. Superato lo scoglio della metodica e scupolosa catalogazione dei lavori dellAula un giorno dopo laltro, per il senatore di Forza Italia far di conto è piuttosto semplice. «Quella di oggi - spiega - è la quinta fiducia posta dal governo Prodi. Cinque in 109 giorni di legislatura, una ogni 22 giorni». Un numero che non regge paragoni. Con Berlusconi, per esempio, a Palazzo Madama furono poste 17 fiducie durante tutta la legislatura (alla Camera si arrivò a 29). Insomma, una ogni 105,8 giorni. È sufficiente un colpo di mouse per passare da una schermata allaltra: il rapporto tra fiducie e leggi approvate. «Allora, dopo 109 giorni di legislatura il precedente governo aveva blindato un solo provvedimento, il Senato aveva votato 626 volte ed erano già state approvate in via definitiva dieci leggi. Oggi - dice il senatore - i voti di Palazzo Madama sono solo 42, le leggi approvate quattro e le fiducie cinque». Nellordine: una sul decreto «milleproroghe», una sul cosiddetto «spacchettamento» dei ministeri (blindato anche alla Camera), una sul decreto Bersani-Visco e due sul disegno di legge che proroga le missioni militari (una ad hoc per larticolo 2 sullAfghanistan). Insomma, se lesecutivo Berlusconi arrivò a porre la quinta fiducia al Senato dopo 1.074 giorni (il 21 aprile 2004) con 386 leggi già approvate in via definitiva, per arrivare alla stessa cifra al governo Prodi sono bastati solo 109 giorni nei quali ha portato a casa quattro leggi. Facendo due conti, fino ad oggi a Palazzo Madama sono più le fiducie che le leggi approvate (cinque contro quattro).
Un problema che pure la maggioranza ha ben chiaro, se proprio ieri Franco Marini ne auspicava un ridimensionamento. «Lesercizio del voto di fiducia - spiega il presidente del Senato durante la cerimonia del Ventaglio - è un dovere costituzionale del governo e chi dirige una Camera non è che possa contestarlo». Insomma, «sta alla loro responsabilità». Certo, aggiunge Marini, «sarebbe bene se si facesse ogni sforzo per cercare di riportare a fisiologia il ricorso a questo strumento». Un appello, quello di Marini, che segue di pochi minuti le parole di Anna Finocchiaro. Cosciente che «non è possibile continuare a stressare con le fiducie le aule parlamentari», il capogruppo dellUlivo al Senato assicura che quella di ieri «è stata lultima». «Dobbiamo trovare un modo - spiega - per cui possa accadere che su questioni di interesse nazionale maggioranza e opposizione votino insieme».
Da Forza Italia, però, continuano a piovere critiche. Con Renato Schifani, capogruppo azzurro a Palazzo Madama, che attacca lUnione perché «non ha una maggioranza politica» né «una politica estera». Concetto ribadito dallex ministro Giuseppe Pisanu. Mentre Angelo Sanza parla di «voto afghano» e rilancia la Grosse Koalition di cui aveva «responsabilmente parlato Berlusconi subito dopo le elezioni». Il senatore azzurro Antonio Tomassini, invece, ritorna sull«esproprio» del Parlamento. «Ormai - dice - stiamo qui solo a infilare la tessera per dare o non dare la fiducia al governo». E pensare che neanche sei mesi fa era stato proprio Romano Prodi a gridare alla democrazia «distorta» e alla Costituzione «calpestata». Era il 7 febbraio e il governo Berlusconi aveva posto la fiducia su un provvedimento che metteva insieme Olimpiadi, droga e pubblica amministrazione. «Siamo di fronte - diceva allarmato lallora candidato premier dellUnione - a una distorsione del gioco democratico impressionante e il pericolo più grande è che ci stiamo abituando tutti. Ma non ci possiamo abituare a quello che sta accadendo perché è una violazione delle regole che hanno sempre ispirato la nostra democrazia. E ci deve trovare attenti e vigili».
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