I programmi di libri in tv? Freschi come le catacombe

Le dirette dei premi sono meno allegre di una serata all'obitorio. Il massimo è il salotto di Augias su Raitre

I programmi di libri in tv? Freschi come le catacombe

Vi ricordate l'obitorio della diretta del Premio Strega? Non si sa perché ma in Italia parlare di libri in televisione è una tragedia, dove si ride per non piangere. Al Campiello infatti hanno affidato la conduzione direttamente a due comici, Neri Marcorè e Geppi Cucciari, da sganasciarsi (si fa per dire). Fatto salvo il Caffè letterario su Raiuno di Andrea Di Consoli, dove Cinzia Tani e Guido Barlozzetti conducono super partes un programma allegro e spumeggiante, per il resto o sono politici che parlano del proprio libro in trasmissioni politiche, o giornalisti politici intervistati da altri giornalisti politici sul loro libro politico. In tv non ci sarebbe spazio per Flaubert o Joyce, ma per Travaglio o anche solo per un Andrea Scanzi sempre. Qualcuno dirà: eh, ma quante storie. A proposito: Quante storie si intitola appunto la trasmissione condotta quest'anno su Rai 3 da Corrado Augias, firma di Repubblica, mentre l'anno scorso si chiamava Pane quotidiano ed era condotta da Concita De Gregorio, altra firma di Repubblica.

Se dotati di humor nero, ci si diverte da matti. Augias, a chiunque dia la parola, chiede di parlare più forte, perché è sordo (esistono apparecchi acustici invisibili, ma prodotti dalla società capitalista antipatica a Augias). Primo ospite della stagione Ilvo Diamanti. Politologo, sociologo e firma di Repubblica, tanto per dimostrarsi liberali, insomma repubblichini. I giovani, intorno, stanno su degli sgabelli dritti e fermi che sembrano manichini, ricordano La classe morta di Tadeusz Kantor, e Augias si appella a loro paternalisticamente, chiamandoli così, «i giovani», oppure, in uno slancio pasoliniano: «i giovani freschi». Diamanti è lì per presentare un libro e parla di disoccupazione, pensioni, stato sociale, immigrazione, condito con le solite banalità buoniste («Non è vero che ci sono troppi immigrati») e il tutto è più soporifero delle vecchie e letali trasmissioni di Gad Lerner, e i giovani continuano a stare dritti senza sbadigliare, forse sono finti, impossibile.

In una puntata viene intervistato Kim Rossi Stuart per quaranta minuti, come se fosse Stanley Kubrick, sebbene sembrasse di vedere un professore (Augias) che stesse facendo l'esame a uno studente. In un'altra puntata grande spazio a Piergiorgio Odifreddi, il quale collabora, non ricordo... Ah sì, con Repubblica. Augias lo rimprovera perché Odifreddi ha scritto che il cristianesimo è una truffa («Qui ha esagerato, Le devo tirare le orecchie!»), Odifreddi dà ragione a Augias («Ho esagerato»), Augias chiede di ripetere più forte perché non sente. «Ho esagerato, ho esagerato». Eppure se Odifreddi è ateo per forza che la religione è una truffa, altrimenti che ateo è, ma preferisce genuflettersi al cardinal Augias.

Ma un giorno si parla a lungo anche dello spostamento del Salone del Libro da Torino a Milano, con un tono grave, severo, come se si stesse spostando il Parlamento a Milano (non sarebbe male, a pensarci). Si propone: «A Torino i libri di alta cultura, a Milano quelli commerciali». A Milano, a rigor di logica, finirebbero gli stessi libri di Augias e Odifreddi, ma loro si pensano a Torino, poveri ingenui. Il tutto detto con una spocchia da generali ottuagenari in pensione. Ti viene un senso di angoscia perché sembra una trasmissione con ragazzi rapiti, narcotizzati dal direttore di un ospizio, chissà se c'è qualcuno che li sta cercando, infatti non a caso subito prima c'è la striscia quotidiana di Chi l'ha visto?

Tuttavia la ciliegina sulla torta è l'esperta di libri: Michela Murgia, scrittrice sarda, comunista, femminista e cattolica, ce le ha tutte. Che non collabora con Repubblica, ma con l'Espresso e con D di Repubblica. Con la Murgia c'è da sbellicarsi perché in ogni puntata recensisce un libro a seconda della posizione che ha la donna nel libro. Tipo che consiglia di lanciare contro il muro Maestra di Lisa Hilton, perché è un bestseller e la donna ne esce male. Mentre elogia un libro di Louise O'Neill (Solo per sempre tua, siamo sullo stesso piano commerciale della Hilton, non stiamo parlando di Virginia Wolf o di Joyce Carol Oates) perché la protagonista è una donna sfregiata e che veste male.

Il problema della Murgia è che ha scritto i libri della Murgia, e come può fare la giudice dei libri altrui? Come dice il divino Arbasino: può un architetto che non riesce a costruire una capanna criticare un grattacielo?

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