Premessa: Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell’Aira devono essere liberati e dichiarati innocenti. Kabul dia le spiegazioni necessarie, senza altre incertezze. Sergio Staino ha ragione: la solita storia, a chi tutto a chi niente. La par condicio avrebbe voluto questo ieri sulle pagine, magari la prima, de l’Unità, una vignetta dedicata alla liberazione di Sergio Cicala e della di lui moglie Philomène Kabouré. Ma la coppia che per quattro mesi era stata sequestrata in Mauritania da una squadraccia di Al Qaida per il Maghreb islamico, non ha avuto una piazza San Giovanni imbandierata e piena di voci e di musica. Come è invece accaduto ieri, secondo usi e costumi della sinistra nostrana. Le immagini di Sergio Cicala, in ginocchio, mentre alle sue spalle sei gentiluomini, ovviamente mascherati, muniti di fucili mitragliatori non erano così forti da promuovere una partecipazione di massa, un coinvolgimento della società civile, come si dice in casi analoghi, da Fiorello a Massimo Moratti, dalla Mannoia a Veltroni. I Cicala dal diciotto dicembre scorso fino a venerdì si sono goduti le loro vacanze in Mali, lui è un pensionato che ama troppo Philomène che è del Burkina Faso e dunque ama anche troppo l’Africa, se l’è andata a cercare, così è.
Anche Fabrizio Quattrocchi aveva rischiato la vita e per questo era morto, ammazzato in Irak dalle Falangi verdi di Maometto. Era un mercenario, era uno di destra, era al soldo di chi vuole la guerra, questo diceva e scriveva qualcuno per convincere molti. Quattrocchi prima di essere giustiziato chiese di togliergli la benda dagli occhi e urlò. «Vi faccio vedere come muore un italiano». Non so a quale italiano facesse riferimento. A tutti, dovrei ritenere, ma anche nel suo caso ci furono commozioni di serie A e solidarietà di serie B. I morti non sono tutti uguali, anche se di mezzo c’è la guerra comunque bastarda. Emergency in tal senso lavora da oltre dieci anni, ha affrontato circa due milioni di vittime della guerra nei pronto soccorso, lavorando di giorno e di notte. Ma c’è anche chi confonde la guerra con il terrorismo, le analogie sono numerose, la sostanza, purtroppo, è diversa, la forma uguale.
Non è questo il problema, non è questa la polemica. Ma Staino aveva ragione, lo ripeto: a chi tutto a chi niente, è la solita storia. Niente per quattro mesi per il siciliano ormai in pensione, niente per sua moglie Philo trascinata nell’avventura, qualche rilievo il giorno in cui arrivò un messaggio filmato in cui Cicala, quello in ginocchio davanti ai kalashnikov, chiedeva a Silvio Berlusconi di dare una mano a lui e alla moglie. Avendo fatto il nome di Silvio non invano ecco che qualche coscienza si mosse ma per minuti due, il fatto non costituiva reato.
Emergency e Gino Strada sanno raggrumare l’affetto e non soltanto quello. Venerdì sera, allo stadio Meazza di Milano, Alba Parietti ha sventolato la bandiera, non dell’Inter, nemmeno della Juventus, ma quella bianca con il logo E di Emergency. L’importante è farsi conoscere e riconoscere, a volte vincere senza partecipare, emergere piuttosto che affrontare l’emergenza; non dico, ovviamente, dei medici e del personale volontario che ha messo e sta mettendo a repentaglio la propria vita per salvare le vite altrui, ferite, violentate dalle guerre, dico del popolo pubblico che risponde al fischio, che si raduna ma non a prescindere, dipende dall’obiettivo, da chi convoca e da chi va celebrato.
Ovviamente nel caso dell’ospedale di Kabul il responsabile non è il governo afghano ma quello di Roma, il colpevole da condannare non è Hamid Karzai ma Silvio Berlusconi: con un’altra maggioranza a quest’ora Garatti, Pagani e Dell’Aira sarebbero liberi, anzi non sarebbero stati nemmeno arrestati. È bello pensare tutto ciò, ascoltando la musica in piazza San Giovanni. Ha ragione Sergio Staino, a chi tutto e a chi niente.
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