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I Radicali minacciano l’Aventino, anzi no. E sabato tutti in piazza

Aventino sì, forse, anzi no. È colpa di Giorgio Napolitano. Bah, certo, anzi no. Gli elettori sono stati umiliati. I nostri e anche i «loro». Sì e no. La giornata nera dei Radicali nasce male di notte con il varo del decreto «salva liste» voluto da Palazzo Chigi, e finisce peggio. La schizofrenia radicale va in scena con Marco Pannella che su Radio Radicale avanza una soluzione «erga omnes», un colpo di spugna per salvare capra (Pdl a Roma), cavoli (Formigoni in Lombardia) e radicali, fuori un po’ ovunque, che di firme (vere o false) non ne hanno raccolte a sufficienza: «Rinviamo il voto ad aprile, prendendo atto dell’anomalia italiana». Alé. Altro che «certezza delle regole» invocata da Emma Bonino su Repubblica: «E quando perderanno le elezioni - dice la candidata radicale - faranno un decreto interpretativo?». E se le vincessero? Mah.
A 600 chilometri di distanza il loro figlioccio Marco Cappato rilancia la via giudiziaria, nonostante la bocciatura dell’inchiesta penale sulle firme e il voto del Tar che, qualche ora dopo, avrebbe vanificato i suoi sforzi: «C’è ancora la possibilità che i giudici annullino il voto, chiederemo alle Procure di verificare tutte le firme raccolte in Lombardia». E, già che c’era, la butta lì: «Formigoni non è comunque ricandidabile, lo dice la legge 165».
La prima svolta «radicale» arriva nel primo pomeriggio, ma è una doppia inversione a «U». La Bonino annuncia il suo personale Aventino, salvo rimangiarselo qualche ora dopo: «Non possiamo giocare con i bari, arriva il momento in cui Parigi non vale una messa». Amen. Panico in casa Pd, con Pier Luigi Bersani che frena la pasionaria Emma: «L’Aventino non serve a nulla». Più che un giudice serve uno psicologo, come malignamente osserva il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto: «Stanno impazzendo perché il colpo grosso è sfumato...».
Tra i giudici e l’Aventino c’è sempre la piazza. E allora tutti al Pantheon, Emma in testa, a urlare: «Siamo in un momento critico per la democrazia, ma non è tempo di battere in ritirata». L’arringa di Emma scalda la folla: «È questo il Paese che vogliamo?». «Nooo!». Anche solleticare la pancia dei forcalioli è un esercizio facile: «Il decreto demoralizza chi opera per la legalità, magistrati in testa». «Sììì!». E ancora: «Bisogna salvaguardare il diritto di voto di tutto il Paese». Che è quello che ha fatto il governo e il Tar della Lombardia, ma in piazza certi distinguo non servono, anche perché per fortuna la folla viene distratta dall’arrivo di Massimo D’Alema, fischiatissimo al grido di «che ci fai qui?».


Quando la Bonino prende le distanze anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, colpevole di aver firmato «un decreto incostituzionale», si scopre perché l’ex premier Pds passava di lì: «Il capo dello Stato non c’entra, non ha la responsabilità politica di quello che firma», dice ai giornalisti, ma lontano dalla folla. Amen. La fame di piazza non si placa, l’opposizione si dà appuntamento a sabato. Per fare campagna elettorale c’è tempo.
felice.manti@ilgiornale.it

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