Giuseppe De Bellis
Si sente un ticchettio fastidioso. Insistente. È la lancetta di un timer: conto alla rovescia. Osama è già apparso: non è da solo, ha il dito puntato. Minaccia lAmerica. Boom: lesplosione. Fox, Cnn, Cbs, Nbc, Abc: il leader di Al Qaida scorre sui televisori dei 300 milioni di americani, attraverso tutti i network. Cè anche il suo braccio destro Ayman al Zawahiri e i loro terroristi che si addestrano allo jihad. Bin Laden parla: «Uccidete gli americani». Frame su frame, fino al messaggio finale: «Questa è la posta in gioco. Voto del 7 novembre».
Lo spot è forte: è lultima pubblicità del partito repubblicano in vista delle elezioni di mid-term del 7 novembre, nelle quali gli Stati Uniti rinnoveranno tutti i congressmen e un terzo dei senatori. Le immagini fanno impressione. LAmerica le guarda a ritmo ininterrotto prima dei telegiornali e nelle pause dellintrattenimento televisivo. La gente capisce che il partito del presidente Bush ha ancora la lotta al terrorismo internazionale come punto principale del suo programma. I democratici protestano, i maligni la chiamano «strategia della paura»: puntare sul terrore che crea limmagine di Osama e dei suoi sodali per tenere compatto lelettorato e soprattutto di spingerlo a votare. Perché sarebbe questo il rischio peggiore per i repubblicani: lastensionismo dellelettorato deluso dagli ultimi scandali che coinvolgono esponenti della maggioranza.
Evidentemente funziona, però. Per questo, nonostante i sondaggi dicano che entrambe le Camere potrebbero cambiare maggioranza, i democratici sono stati presi in contropiede. Avevano protestato già prima di vedere lo spot. Ora che lhanno visto, lo definiscono «patetico» e «disperato». E dicono anche che «Questa è la posta in gioco» è uno slogan loro: lo usò Lyndon B. Johnson, nelle presidenziali 1964, contro il candidato repubblicano Barry Goldwater, denunciando i rischi di conflitto nucleare insiti nell'oltranzismo ultra-conservatore del suo rivale. Anche grazie a quellidea Johnson vinse e Goldwater perse. Però quella sconfitta creò le basi per londa lunga repubblicana che ha portato alla Casa Bianca Ronald Reagan, George Bush Senior e George Bush Junior.
Nella pancia del partito dellElefante si spera ancora di poter ribaltare il pronostico negativo. Ne sono convinti lo stesso presidente, il suo vince Cheney e soprattutto Karl Rove, «larchitetto» delle vittorie repubblicane alle presidenziali del 2000 e del 2004. Giocano dattacco: la sinistra Usa non ha unidea unica sulla politica estera, sui matrimoni gay, sulleconomia. Nelle prossime due settimane linaffidabilità dei leader democratici sarà al centro della campagna elettorale repubblicana.
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