Ve li ricordate quelli che furono sgomberati dal residence di Bruzzano? Sì, loro, gli 87 presunti profughi eritrei? Be, continuano a girovagare per strade e piazze di Milano. Tre settimane dopo quelloccupazione di troppo, tutti e 87 si ritrovano giorno e notte nei parchi e giardini in zona Venezia, e al sabato sfilano in corteo per le strade del centro. Che chiedono? «Una soluzione definitiva al vagabondare» ergo «almeno un dialogo con il Comune».
Ma, attenzione, non ci sono mai quando il Comune vorrebbe dialogare con loro. No, non è unesagerazione del cronista bensì la sintesi di una chiacchierata con il vicesindaco Riccardo De Corato e con lassessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli che, in queste tre settimane, dal 21 aprile ad oggi, hanno offerto un posto di lavoro qualificato a tutti e 87: «Abbiamo messo sul piatto percorsi di formazione, seguiti da assunzioni nelle partecipate di Palazzo Marino ma, loro, hanno sempre rifiutato lofferta» afferma scoraggiato De Corato. Declinato? «Giusto per capirci e senza giri di parole, agli incontri organizzati dallassessorato alle Politiche sociali non si è presentano nemmeno un rifiutato». Chiosa Moioli: «Non sono interessati a lavorare».
Aggiunge De Corato: «Non si trattava di pulire gabinetti o lavare le auto ma impieghi in settori ambientali piuttosto che nella logistica. Condizioni di lavoro più che dignitose e con ipotesi di crescita professionale. Loro, però, hanno detto no a priori». «No» anche ai corsi di alfabetizzazione e di italiano, con la sola esclusione di un profugo: «Sì è presentato, ha ascoltato e, poi, si è volatilizzato». Evidente, chiosa Moioli, che, senza forse «trovano vie di guadagno più facili». Come dire, il lavoro «nero» rende di più e le scorciatoie e i privilegi sono più facili del rispetto delle regole.
Eppure, il piano di orientamento al lavoro era sostenuto anche dal delegato dellOnu che «li aveva invitati ad accoglierlo. Ma dai presunti asilanti è arrivato un no corale e nientepopodimeno che la pretesa di una casa» conclude De Corato. Insomma, si può parlare di «profughi professionisti».
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