Ho sempre provato un sentimento complesso di diffidenza e di ammirazione insieme per laudacia intellettuale con cui i magistrati affrontano - nella presunzione di risolverli - problemi di conoscenza e di coscienza che porrebbero in imbarazzo un Socrate o un Kant. Sono costretti a pronunciarsi, si obbietterà. E sono anche costretti a prendere posizione, su tematiche di paurosa rilevanza morale e sociale, usando gli aridi strumenti del diritto: che sono spesso preziosi ma risultano del tutto inadeguati quando per mezzo loro si voglia esplorare il tremendo mistero della vita e della morte.
Dopo un angoscioso iter giudiziario cominciato quindici anni or sono, la tragedia di Eluana Englaro è approdata a una svolta. Eluana, vittima nel 1992 dun incidente stradale che laveva sprofondata nel coma, è da allora nutrita grazie a un sondino. Il padre della ragazza si è battuto disperatamente, in questi anni, per essere autorizzato a interrompere lalimentazione artificiale: sostenendo tra laltro che la figlia gli aveva in precedenza espresso il desiderio dessere lasciata finire, se ridotta in quello stato. La Suprema Corte ha ora aperto uno spiraglio, o più duno spiraglio. Ha stabilito che gli interventi terapeutici su Eluana possano essere interrotti se lo stato vegetativo irreversibile viene accertato secondo standard scientifici riconosciuti; e inoltre se viene dimostrato «sulla base di elementi tratti dal vissuto della paziente, dalla sua personalità, dai suoi convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici» che la paziente stessa, ove fosse cosciente, non presterebbe il suo consenso alla continuazione del trattamento. Ossia vorrebbe morire.
Il tema delleutanasia è di spaventosa difficoltà. Non entro nella polemica tra chi è a favore e tra chi è contro, provo disagio nellassociarmi a discussioni anche aspre che hanno per oggetto poveri esseri umani la cui umanità è stata dalla sorte ridotta a sofferenza o a doloroso sonno. Mi manca anche la preparazione per discettare su cosa sia linterruzione delle cure, e quando si possa o si debba parlare a pieno titolo di eutanasia. Le incertezze legali e scientifiche - oltre che morali e religiose - che leutanasia suscita è attestata dalla prima delle condizioni poste dalla Cassazione. Dopo tante vicende di questo tipo, in Italia e fuori dItalia, dopo un percorso giudiziario di tre lustri, con perizie e controperizie, ancora viene richiesto un verdetto medico?
Ma più della prima mi rende perplesso la seconda condizione. Un nuovo processo dovrebbe frugare nei pensieri, nelle convinzioni, nella volontà duna giovane che ora è incapace di pensare: e dunque sono le sue convinzioni e le sue volontà dun tempo, forse radicate e irremovibili, o forse mutevoli, loggetto dellindagine. Si chiede ai magistrati che si chineranno sul destino di Eluana una capacità dindagine e di ricerca quasi magica, una sensibilità arcana in grado di sfidare i segreti della psiche e di individuare con certezza ciò che cè di meno individuabile e fisso, i moti dellanimo umano. Avrei preferito, lo confesso, una pronuncia netta: o un no ribadito o un sì che senza rifugiarsi dietro una ipotetica e remota volontà di Eluana sancisse la possibilità di toglierle, per misericordia, quel sondino che la lega non alla vita, ma alla non vita. La sentenza della Cassazione ha già suscitato i commenti di parte, si sono fatti avanti i politici, forse interverrà la Chiesa.
Mario Cervi
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