Ticket in proprio. Sotto lo slogan «Lascia il 7-9% prendi il 3%», la neonata Aipe (associazione italiana pubblici esercizi) è scesa sul sentiero di guerra contro il monopolio delle aziende erogatrici di buoni pasto. Un business, sotto l'ala di sole 23 società in tutta Italia, che sta mettendo in ginocchio ristoranti e negozi di alimentari.
Stufi di soggiacere alle pressioni e soprattutto ai tassi di commissione troppo alti e ai buoni non pagati in tempo concordato, i ristoratori hanno deciso di unirsi e combattere, realizzando , inoltre, i buoni pasto in proprio ad un tasso «politico» del 3%. Giorgio Bolesan, promotore della rivolta, ha radunato tantissimi operatori per esporre le linee della protesta e l'alternativa per non scontentare il cliente, ma nemmeno per rimetterci come esercente. Una squadra di dodici ragazzi sta girando attualmente per Genova per raccogliere sottoscrizioni dagli operatori pubblici. Saranno anche supportati da un call center.
«Non ce la facciamo davvero più - racconta Angelo Carta, proprietario dell'Antica Trattoria Vettorazzi di via Alessio Olivieri - noi abbiamo rilevato l'attività da gennaio e, fino ad oggi, non abbiamo visto nemmeno un soldo derivante dai buoni pasto. Lavoriamo in una zona di uffici - continua - vicino alla Asl, quindi a pranzo vengono tantissimi impiegati con i ticket della ristorazione. E noi non possiamo non accettarli. Ma ad oggi ci rendiamo conto che alla fine della giornata, quando pensi di aver fatto un buon incasso, in realtà hai una cassa piena di ticket che chissà e quando ti verranno pagati». «Considerando, inoltre, che alle società erogatrici dobbiamo anche versare - sottolinea - dall'8 al 12 per cento dell'incasso».
Oramai tutti gli esercizi commerciali a carattere «alimentare» accettano i ticket. «Ce n'è un vero e proprio abuso - dice Roberto Dacci, collaboratore di Food2000 e co-titolare con Carola Roberti del prestigioso ristorante Le Terrazze del Ducale». «I ticket - racconta - erano nati quando le aziende, che non avevano la mensa all'interno, mettevano dei soldini in busta paga in più per i propri dipendenti perché potessero pagarsi il pranzo a mezzogiorno. Con l'andare del tempo - aggiunge - e l'avvento dell'euro le cose sono andate peggiorando. Oramai i ticket sono diventati come dei pagherò, delle vere e proprie cambiali, dei mini assegni che la gente usa per qualsiasi cosa, dal pranzo a mezzogiorno, a quello della sera, per comprare dal macellaio. «Fino a quelli - rincara Gianni Lauricella, operatore di registratori di cassa - che li danno ai propri figli alla sera così si vanno ad ubriacare con gli amici in piazza delle Erbe usando i ticket della ristorazione».
Un tempo erano più cautelati. Di giorno li usavano tutti, alla sera i ristoranti non li prendevano. «Ora va a finire - dice ironicamente Luigi Rosario Bonanno, tecnico delle macchine da caffè - anche per pagare le multe». «Ma è anche da folli - continua Dacci - che vengano con i buoni pasto e gli si dia il resto in soldi cash! È come darsi la zappa sui piedi da soli!».
Pare inoltre che ci siano anche degli improvvisati «raccoglitori» di ticket che, tolgono il disturbo agli esercenti di raccoglierli e portarli all'erogatore. Peccato che queste persone abbiano chiesto fino ad un venti per cento dell'incasso «Si tratta di usura!» gridano ancora in coro.
E poi c'è chi, come Pierino Micali, proprietario dei negozi di gastronomia di san Francesco da Paola e via Napoli che si è sentito negare il pagamento dei propri ticket, pari a quattromila euro, perché il postino che li stava portando alla società erogatrice di Milano è stato derubato del sacco con tutti i buoni pasto dentro. «Mi hanno detto - racconta - che avrei dovuto fotografarli per avere i miei quattro mila euro. Non era sufficiente che emettessi di nuovo una fattura».
«E sì - spiegano - spesso pare che qualcuno li rubi». Gli esercenti dell'Aipe sono così pronti a proporre il «Noticket day» come è già avvenuto in altre città italiane e ad organizzare una mega assemblea a settembre.
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